Il Covo dei Tessitori di Ombre > Figli dell'Ultima Alba - Cronache dei TN Atto III

Figli dell'Ultima Alba XLV - Capitolo 36: Il Trono Ghiacciato

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Sceiren:
Ed infine ci siamo: inizia la battaglia che segnerà per sempre tutto Azeroth!
Buona lettura!

36
Il Trono ghiacciato

Wuulfgard si umettò le labbra balzando prima a destra, poi a sinistra, cercando un varco, ma non lo trovò, anzi dovette arretrare.  Quella sorta di bestia di sangue evocata dal non-morto caricava proprio lui.  L’aveva colpita due colpi di fucile, ma era stato inutile, così aveva riposto l’arma dietro la schiena, aveva fatto due passi indietro e non si era preparato a combattere. Non avrebbe potuto soccorrere l’amico neppure se avesse voluto.
Dalla parte opposta, Sevex non riusciva a ancora a rimettersi in piedi e poteva semplicemente osservare quella raccapricciante apparizione avvicinarsi sempre più.  Con una mano tremante, raggiunse una bacchetta color della roccia da dietro la schiena e biascicato un rapido rituale, la piantò al suolo.  Gli occhi le lacrimavano a tal punto da non riuscire a vedere.  Fortunatamente non ne aveva bisogno: il totem fu percorso da una serie di scariche elettriche, quindi si ingrossò e lunghe piume scure emersero dalla punta.  Quando fu certa che il totem era stato completamente evocato, iniziò a strisciare per prendere distanza dalla creatura: quel totem le avrebbe fatto guadagnare un po’ di terreno e, magari, il tempo necessario per riprendersi, se avesse distratto la creatura. Cosa che non accadde però: la bestia del sangue aggirò il totem e continuò a puntarla.
Un freccia bianca e rossa, due, tre, sibilarono sulla testa della draenea e si piantarono fino alle piume del corpo gelatinoso della bestia.  Un rivolo di sangue scuro iniziò a sgorgare dal foro.  Quindi le tre frecce esplosero, facendo a pezzi la creatura.  Sevex si abbandonò al suolo.
Utanathor, intanto, aveva ordinato all’elementale di intercettare la creatura, mentre aveva iniziato a salmodiare un incantesimo poco congeniale, ma che, a suo avviso, avrebbe avuto un effetto maggiore.  L’elementale allungò due lunghi tentacoli d’acqua sulla terza bestia, avvolgendola completamente. 
- Per la Luce! – gridò Ossex che, spiccato un balzò calò la sua spada a due mani sulla creatura la quale, però, con un guizzo, scivolò viscida su un lato, finendo alla destra dell’elementale, evitando il colpo del paladino.
- Dannata, hai solo rimandato la fine! – gridò questo, prima di benedire il suolo sotto l’elementale.
Quest’ultimo, ritratte le protuberanze con cui cercava di fermare la creatura, si voltò per colpirla con un dardo di gelo, ma si fermò: il suo padrone agli aveva dato altre disposizioni.  Iniziò a vorticare su se stesso, quindi liberò una scarica d’acqua e neve che descrisse un cerchio circolare intorno a sé, travolgendo la bestia, già alle sue spalle e in direzine del mago e il paladino.  Non appena l’onda emanata dal suo corpo impattò coi due, si congelò istantaneaente, bloccandoli a terra.
Ossex, conoscendo quell’incantesimo, non attese neppure un secondo e iniziò a colpire il ghiaccio che lo teneva ancorato al suolo per liberarsi.  Utanathor, dal canto suo, visto che la bestia era finalmente bloccata, liberò l’incantesimo che stava formulando.  Una sfera di ghiaccio percorsa a lingue di fuoco azzurrine e vermiglie si materializzò tra le sue mani distese, quindi si scagliò contro la bestia bloccata al suolo.  La superficie della sua pelle molliccia si inturgidì, prima di ardere di una fiamma bluastra.  Le fiamme ardevano, ma non scioglievano il ghiaccio che imprigionavano la bestia al suolo e questo fornì a Ossex il vantaggio tattico di cui aveva bisogno per completare l’opera. Con un balzò fu sulla bestia attraversandola dalla testa al suolo, fino a piantare la spada nel terreno.
- Morte santa! – urlò.
Solseit, nel frattempo, aveva colto l’apertura fornitagli dal mago ed era corsa in soccorso della nuova draenea. Chinata su di lei, aveva iniziato a affrontare quella strana sofferenza che avvertiva provare la viaggiatrice a terra e di cui, però, non comprendeva la natura.  Afferrata la sua catenina di pietre rilucenti con la sinistra ed imposta la destra sul petto di Sevex, Solseit liberò ondate sempre più vigorose di energia vitale che, dalle sue mani, come acqua sui ciottoli di un ruscello, scorreva inarrestabile nel corpo della draenea sofferente, alleviandone il dolore.  Sevex sgranò gli occhi, poi si rilassò e il suo respiro si stabilizzò.  Solseit l’accarezzò, quindi, dopo averla aiutata a rimettersi in piedi, fissò Shepherdneo che, da solo, fronteggiava la minaccia più pericolosa.  Si portò le mani sul grembo e chiuse gli occhi, quindi indicò il guerriero sofferente e una sfera dorata lasciò le sue dita e scomparve nella schiena dell’amico, ridandogli vigore.   
L’ultima bestia, però, quella che puntava Balu, aveva avuto tutto il tempo per raggiungere il suo bersaglio, impegnato ad aiutare Sevex.  Balu balzò all’indietro, quindi vide Selta, intenta a pregare, con gli occhi chiusi, immobile e concentrata.
Balu non capiva i druidi e i sacerdoti, di qualunque credo o fattezze fossero, erano sempre gli stessi.  Sacrificio prima di tutto.  Non li capiva. Incoccò un paio di frecce e scoccò contro la creatura, ma non aveva più frecce esplosive, solo frecce nere.  Così quello che ottenne fu solo di rallentare la bestia strisciante che, ora, puntava l’elfa concentrata.
- Oh, per la miseria, muoviti! – urlò, quindi portandosi le mani sulla bocca per amplificare la propria voce ed essere sicuro di scuoterla: - Corri ragazzina, corri!! –
Selta aprì gli occhi, quindi alzò le mani al cielo grigio: dal terreno, tutto intorno a lei, raggiungendo Shepherdneo da una parte e Balu e Uthanator dall’altro, il suolo iniziò a germogliare.  Bucando la neve battuta dagli stivali dei combattenti e, a tratti, resa nera dal fango rivangato durante la battaglia, timidi fili d’erba si allungarnono ondeggiando, sollevando ciascuno un bocciolo ancora chiuso.  Selta sorrise e i boccioli, mentre gli steli che li sostenevano completarono la loro crescita, si aprirono liberando una luccilla di luce calda e rassicurante che, dal bocciolo, si alzò verso l’alto.  Dapprima isolati, i bagliori luminescenti e rinvigorenti divennero una vera e propria nevicata al contrario che, dal basso, si alzava verso l’alto, disperdendosi sopra le loro teste, ma non prima di aver dato il proprio contributo.  Donando una tranquillità irreale ed impossibile anche solo da immaginare nel marasma della guerra campale in cui si trovavano, le ferite si rimarginarono, lo spirito si rinfrancò e la forza tornò a scorrere nelle vene dei combattenti sfiancati.  Ritornata in sé  e ringraziando il creatore, finalmente consapevole del pericolo a mezzo metro da lei, con le parole del cacciatore che echeggiavano nelle lunghe orecchie, iniziò a scappare, prendendo terreno dalla bestia che, nuovamente in possesso delle proprie capacità motorie, aveva ripreso a seguirla.

* * *

Il guerriero avvertì il calore spandersi dal centro della schiena in tutto il corpo e si sentì tornare le forze.  La presa sul collo era sempre più stretta e presto sarebbe stato privo di ossigeno e allora sarebbe stata la fine… ma non era solo.
Di nuovo in forze, strinse le mani su quella serrata del non-morto attingendo a tutta al rabbia che avvertiva per quella ridicola situazione di impotenza e se la strappò di dosso, quindi rotolò sulla destra, evitando l’ascia del nemico che, consapevole che la sua preda si stava riprendendo, aveva deciso di porre fino allo scontro.  Troppo tardi però. 
- Shep! – urlò Solseit poco distante e i lividi sul collo scemarono, lasciando solo aloni violacei dove le dita avevano premuto.
- Sei mio! – ruggì il guerriero intercettando l’ennesimo fendente, deviandone la traiettoria.
Anche Wuulfgard aveva il suo da farsi, ma non era certo il nemico che desiderava combattere.  La viscida creatura di sangue lo aveva raggiunto e se aveva avuto la meglio su di questa poco prima, recidendogli un tentacolo, ne era adesso sovrastato: la teneva a distanza spingendo con tutte le proprie forze la sua ascia messa di piatto sotto il ventre della bestia verso l’alto, evitando che quell’orrendo orifizio che aveva sulla protuberanza più alta lo raggiungesse.  Aveva un gran brutto presentimento.
- E basta e basta! – protestò, quindi ritirò le gambe sul petto e piantò i piedi sotto l’ascia, quindi gridando scagliò la bestia lontana da lui.  Rotolando si rimise in piedi, afferrò con entrambe le mani la sua ascia e la calò sul dorso della bestia passandola da parte a parte.  Una freccia di Balu concluse lo scontro.
- Potevi prendertela più comoda! – brontolò il nano biondo al compagno, prima di lanciarsi contro l’orco che continuava a contenere uno Shepherdneo sempre più furente.

* * *

Ossex sollevò la sua spada dalla pozza di sangue che si stava allargando dal corpo fratturato dell’ultima bestia, finalmente sconfitta, quindi si asciugò il sudore e fece un cenno rassicurante a Selta. Pericolo scampato.  L’elfa annuì sorridendo, quindi, come il paladino, si voltò verso il vero nemico da abbattere.  Erano pronti. Erano uniti.  Pronti a chiudere i giochi, una volta per tutte e mentre due dardi congelanti lasciarono le mani del draeneo e il suo elementale si avvicinava all’orco non-morto, mentre Solseit rimarginava l’ennesima ferita del guerriero, mentre Balu incoccava una salva di frecce e Wuulfgard ritornava a combattere al fianco del suo comandante, Sevex si rimise in piedi.  Afferrò le due asce e sfruttando la sua agilità, potenziata dal totem ancora attivo poco distante, con una capriola azzerò la distanza dal suo avversario. Questa volta niente le avrebbe impedito di fare la differenza.

* * *

Justin Barrett aveva dato ordine di prendere quota, ancora.  I motori della Spaccacieli erano a pieno regime perché oltre alla massa della propria nave volante, dovevano trainare anche la Martelfato, portarla lontana dal campo di battaglia.  Dal canto suo, la zeppelin ordalica, continuava a far fuoco, tutt’altro che decisa a perdere terreno.  Fortunatamente per la nave alleata, la differenza di altitudine impediva alla maggior parte dei colpi di andare a segno, colpi che invece, inevitabilmente precipitavano al suolo, esplodendo in fragorose deflagrazioni.
- Capitano non reggeremo ancora a lungo, dia l’ordine! – sussurrò il capitano Jackson all’orecchio del comandante del vascello, ma questi era assorto nei suoi pensieri e continuava a fissare la Martelfato.  Infine si voltò con uno sguardo teso e tutt’altro che rassicurante.
- Jackson, voglio al mia scorta sul ponte. Che i marinai siano dotati di turbozaino.  A te il comando: mantieni questa rotta e prendi quota. Io… devo parlare con Varok. –
L’ufficiale sgranò gli occhi.
- Sei diventato pazzo? Ti farai ammazzare! Varok ha già reso palese le proprie intenzioni, cosa pensi farà quando sarai sulla sua nave?  Ti ucciderà o, peggio, ti prenderà in ostaggio. –
- Non lo farà, ma se dovesse accadere, nessun compromesso o negoziato. C’è troppo in gioco. –
Jackson ai avvicinò e sembrò volesse colpirlo.
- Perché? –
- Perché, come ho detto c’è troppo in gioco e la Martelfato potrebbe essere importante.  Inoltre, non ha senso la sua presenza qui, non ha senso che attacchi i nostri e i suoi uomini, non ha senso tutto quanto.  Potrebbe essere importante. –
- O potresti sbagliarti. –
- Ho ho deciso. Esegui gli ordini… e se non dovessi tornare, completa la missione. – tagliò corto Barrett, quindi lasciò la sala di comando.

* * *

Il duello era serrato e nonostante la sua stazza, Saurfang riusciva a tenere testa sia ai due guerrieri che alla draenea, incassando, però, continuamente colpi su colpi: era estremamente complicato evitare o respingere affondi e fendenti su tre livelli contemporaneamente.  Infatti doveva fronteggiare gli assalti di Sevex, la più alta dei tre in corpo a corpo, del guerriero umano, il mediano e del basso nano.  Ciò nonostante, sfruttando le sue incredibili capacità di combattimento, unite a quelle acquisite dalla non-morte donatagli da Arthas, lo scontro, apparentemente impari, si svolgeva in parità e le ferite che subiva continuamente non intaccavano la sua forza o la sua potenza.
Deviò verso il suolo calando la propria ascia dall’alto verso il basso la spada di Shepardneo in modo da impedire alle asce di Sevex di colpirlo, quindi si voltò improvvisamente, dando le spalle ai tre ed acquisendo velocità, prima di piazzare un durissimo calcio in piena faccia a Wuulfgard, che ruzzolò a terra.  Fortunatamente per il nano non era da solo e prima ancora che finisse di rotolare, l’aura protettiva emanata dalle preghiere di Selta e Solseit lo avvolse, impedendo conseguenze permanenti e fratture.  Si sentiva un dolore lancinante allo zigomo, ma se non altro riusciva ancora a respirare.  Sputò sangue a terra e si rimise in piedi, prima di ringraziare con un cenno delle mani le curatrici che lo avevano soccorso.  Quindi riprese la carica. 
Utanathor, intanto, cercava un varco nel forsennato duello per agire, così come Balu, dalla parte opposta.  Ossex, invece, copriva il gruppo, falciando i non-morti  delle schiere del nemico che, comunque, non avevano mai smesso di arrivare.
Il duello stava durando veramente molto, troppo e la stanchezza iniziava a farsi sentire almeno quanto il dolore per le ferite comunque subite.  Le braccia del guerriero dolevano, specie la sinistra, oramai priva di scudo ed ancora sanguinante.  Shepherdneo arretrò di qualche passo, coperto da un Wuulfgard su tutte le furie, e riprese fiato.  Quell’apertura venne subito sfruttata dai due compagni delle retrovie che lanciarono rispettivamente un dardo ghiacciato e due frecce nere come la pece.  Tutte e tre i colpi raggiunsero il bersaglio, costringendolo ad arretrare di due passi.  Il nano in corpo a corpo balzò in avanti calando la sua ascia sul ginocchio esposto dell’orco, fracassandoglielo.  Saurfang gridò di dolore, prima di cadere all’indietro. 
La draenea gli fu sopra, tempestandolo di colpi con le sue asce leggere, ma letali, poi rotolò su un fianco quando l’orco sanguinante cercò di centrarla con un pugno.
Infine arrivò Shepherdneo in carica che, poco prima di raggiungere il nano, gridando la sua ira, spiccò un balzo e calò la sua spada sull’orco ancora a terra.  Saurfang si protesse con l’ascia, ma la spinta e la potenza del colpo del guerriero non potevano essere arrestate, non quella volta: la spada impattò con l’ascia, spingendola verso il basso e conficcandola per metà nel petto dell’orco. 
- Sei mio, ora! – sibilò al massimo dello sforzo Shepherdneo ad un palmo dai denti sporgenti di Saurfang.
Gli occhi dell’orco persero di luminosità: si abbandonò al peso dell’avversario e l’ascia penetrò ancora più in profondità, quindi mosse le grosse labbra e sussurrò:
- Mi… hai… liberato… -  e spirò.
Shepherndeo si abbandonò a sua volta esausto.  Subito i compagni lo raggiunsero e lo aiutarono a rimettersi in piedi.
Balu esultava complimentandosi con lui e con gli altri, ma non se la sentiva di festeggiare. 
- Fermi! Basta così! –
Solseit si voltò di scatto alla sua destra, mentre Ossex correva di fronte a lei per proteggerla.
- Chi sei? – ordinò imperioso il paladino, subito raggiunto da Wuulfgard, Sevex e, poco dopo, da un esausto Shepherdneo, nuovamente con la spada sollevata.
Dieto la copertura di Utanathor, Balu e Selta.
- Chi comanda la vostra unità? – chiese l’uomo, evidentemente un ufficiale, ma dai gradi completamente diversi da quelli presenti sul campo e senza l’effigi del Consiglio. Al suo fianco un orco in armatura completa dalle tinte vermiglie e, intorno ai due, decine di soldati e orchi, armati di tutto punto.
Shepherdneo valutò il numero dei nuovi arrivati ed il loro equipaggiamento: erano armati di tutto punto ed evidentemente non semplici combattenti, ma esperti. Per giunta freschi, non reduci da un combattimento come quello dal quale uscivano loro.  Non avrebbero potuto contrastarli.
- Sono io. Comando io l’unità dei Cavalieri dell’Alba. – disse facendo un passo in avanti e riponendo, non senza fatica, la spada dietro la schiena.
- Sono il comandante Justin Barrett della Spaccacielo e questo e il comandante Varok Saurfang, della Martelfato. Entrambi generali dell’aria e quindi, sul campo, superiori della sua unità.  Ordino che vi allontaniate dal corpo di Dranosh Saurfang immediatamente. – poi lanciò un’occhiata indecifrabile all’orco al suo fianco che, con le mani distese, silenzioso, ma evidentemente teso,  stringeva i denti sollevando ed abbassando i lunghi canini inferiori che, grattando sulle guance, stavano scavando due lunghi solchi rossastri sulla sua pelle scura.
- Io… noi, vi ringraziamo per i vostri servigi e per aver posto fine al tormento del valoroso ufficiale del consiglio che avete sconfitto.  Il Re traditore pagherà anche per quanto fatto a questo figlio di Orgrimmar. – disse, quindi sorrise sforzatamente.  Shepherdneo annuì e ringraziò, quindi fece cenno ai suoi di allontanarsi.
Varok superò il comandante della Spaccacielo a larghe falcate. 
- Dietro di voi giace il corpo del mio unico figlio.  Niente al mondo potrà trattenermi oltre dal raggiungerlo, ringhiò, No'ku kil zil'nok ha tar. – aggiunse prendendo tra le braccia il corpo martoriato di Dranosh. –
- Non ero presente alla battaglia all’Iracancello, ma ho parlato con alcuni sopravvissuti. Vostro figlio ha combattuto con onore ed è morto da eroe e merita un funerale da eroe. – disse mesto Shepherdneo fissando Varok negli occhi.  Quindi aggiunse: - Sono profondamente rammaricato di aver incontrato vostro figlio in questo modo. Avrei preferito mille volte combattere al suo fianco sfidando la morte all’Iracancello, che qui. -
L’orco era furente: l’uomo che parlava di onore e di eroismo era anche colui che aveva ucciso suo figlio… poi rilassò i lineamenti e aggiunse:
-  E’ stato il Re Traditore a fare questo a mio figlio… non tu. – e voltatosi, si allontanò seguito dagli orchi della sua scorta.   
Il comandante Barrett annuì a Shepherdneo, quindi a sua volta se ne andò.
- Paradossale… potevi anche scusarti per essere sopravvissuto. – bofonchiò Balu grattandosi la barba miele. – Ho bisogno di bere. –
- Non dirlo a me! – Wuulfgard si avvicinò al compagno prendendolo sottobraccio. – Ho bisogno di bere per due! –
Solseit si avvicinò al guerriero ancora assorto nei suoi pensieri.
- Hai fatto la cosa giusta, Shep, prima e adesso. –
Il guerriero sorrise finalmente annuendo alla draenea.
- Spero proprio di sì e spero che quanto fatto oggi, sia servito a coloro che abbiamo coperto. –
- Di chi parlate? – chiese Sevex curiosa.
Shepherdneo ripensò al gruppo individuato da Utanathor quando erano ancora agli ordini dell’elfo ed alla loro strana posizione: defilata, ai margini della battaglia eppure oggetto delle attenzioni del generale Saurfang e dei suoi potenti seguaci.
- Non li conosco, ma ho la sensazione che aiutandoli abbiamo fatto qualcosa di importante. – e zoppicando, avvicinandosi ai due nani, aggiunse:  - Per la bevuta, ne ho un gran bisogno anche io. –

* * *

L’oscurità era completa. Una coltre scura che copriva ogni cosa, ad eccezione della tenue luce irradiata dalla mazza incantata di Selune e dalla “Mano di Ragnaros” si Bryger.  Ad eccezione delle due armi in questione, tutto era tenebra, una fredda, immobile, silenziosa tenebra penetrante. 
Avevano salito la prima rampa di scalini che, inseguendosi l’un l’altro in una scala a chiocciola di pietra stretta e scivolosa, avevano condotto il Templari Neri dall’ingresso del passaggio segreto fino ad un primo, angusto pianerottolo dove, su ordine di Fordring, il gruppo si era fermato.  Alcuni qualche gradino più un altro, il grosso al centro sulla piattaforma, altri qualche gradino indietro.  Non c’era spazio per tutti.
- Dove siamo? – chiese il comandante della missine al cavaliere della morte.  Il suo sussurro parve essere un tuono.  Tirion si guardò intorno, come per timore di essere stato sentito da orecchie tutt’altro che amichevoli. Solo il sospiro dei membri del gruppo, molto, troppo vicini l’uno all’altro. Null’altro fortunatamente. 
Colèra si avvicinò, quindi obbligandosi a contenere la sua voce poderosa, rispose.
- Mograine mi ha detto che questa scala porterà ad una alcova nella “Culla dei Dannati”, una sala al primo piano della Cittadella. Da lì saliremo al secondo piano, senza incontrare resistenza, mi auguro. –
- Dove si trova il drago? – chiese Erebus.
- Al secondo piano, nella sala laterale di Nord-ovest, ma non posso essere più preciso. –
- E il portale? – lo incalzò Selune.
- Quello al centro del secondo piano.  La cittadella, almeno la parte centrale, è costruita intorno alla torre alla cui sommità risiede il Re dei Lich.  Alcuni passaggi collegano l’anello esterno alla piattaforma centrale del secondo piano. E’ lì che c’è il portale che dovremo attraversare. –
- Nulla di più esposto… - commentò gravemente Roredrix.
- Il Creatore ci proteggerà. – sorrise Ilaria accarezzandosi la treccia.
- Comunque non abbiamo scelta. Fortunatamente i generali di Arthas, almeno molti di loro, sono fuori dalla cittadella per condurre le sue truppe contro le nostre forze. – continuò Colèra.
- Come ha detto sorella Ilaria, il Creatore ci proteggerà o, al massimo, proteggerà le nostre armi dando loro la forza. – concluse baldanzoso Tirion Fordring.  Poi, nuovamente serio, rivolgendosi a Erebus.
- Occorre organizzare le squadre. Ora è il momento. –
Erebus annuì. 
- Ascoltatemi tutti quanti.  Procederemo il più silenziosamente possibile. Invisibili.  Non dobbiamo sterminare i seguaci di Arthas o demolire la cittadella.  Quello è compito dell’esercito qui fuori.  Evitate lo scontro ove possibile e, qualora non potrete farne a meno, evitate incantesimi e contromisure esplosive o eccessivamente rumorose. Impedite ad ogni ostile che incontrerete di fuggire e dare l’allarme, ma abbattetelo il più possibile senza fare rumore.  Zaltar, Seilune: i vostri incantesimi saranno fondamentali così come trappole e misure costrittive dei cacciatori.  Usateli. – prese fiato e riprese. – E’ inutile ricordarvi dove siamo e contro chi stiamo andando.  E’ rischioso e mai come adesso dobbiamo essere prudenti e pronti a fronteggiare situazioni critiche.  Ora: so che sarebbe più sicuro muoverci insieme, ma non lo faremo.  Il primo gruppo, quello che si dirigerà dalla Passasogni, partirà tra poco.  Il secondo, che affronterà Arthas, dopo un’ora.  Considerato il tempo necessario per raggiungere il portale, la finestra per il risveglio del drago è di massimo due ore.  Se qualcosa andasse storto, se si sforerà questa tempistica, ci troveremo a dover fronteggiare Arthas e Sindragosa. – fece una pausa per far assimilare le conseguenze dell’eventualità a tutti quanti.
- I gruppi? – chiese Bryger, impaziente di rompere quell’atmosfera cupa.
- Coloro che punteranno alla Passasogni sono: Voa, Hutyjaram, Darhius, Kimmolauz, July, Chesterum, Gaius e Blackill.  Il comando della squadra sarà affidato a Nadìr.  Tutti gli altri procederanno su Arthas.  Domande? –

* * *

Le eco erano cessate da ormai una decina di minuti e nuovamente il silenzio, interrotto dai respiri e i bisbiglii, era tornato a padroneggiare sulla piattaforma, adesso, molto più sgombra che una ventina di minuti prima.  Il primo gruppo si era avviato e, questa volta, la sensazione che serpeggiava tra coloro che invece erano rimasti, non era di trepidazione ed eccitazione, tipiche dell’inizio di una missione, di una avventura o di uno scontro, bensì di un triste

addio

arrivederci.  Selune aveva salutato con un abbraccio Nadìr, abbandonando, forse per la prima volta, il consueto formalismo e approccio marziale che, specie in missione, lo contraddiceva.  L’elfa, dal canto suo, aveva ricambiato calorosamente.  Sceiren, dopo un paio di battute con Hytujaram, si era raccomandato di non fare tardi e il guerriero, sorridendo, ma con un nodo alla gola pari solo a quello del mago, aveva risposto che non sarebbe accaduto.  Sorella Clarisian si era intrattenuta con Gaius e Chesterum dando le ultime istruzioni e, assieme anche a Shira, aveva pregato sommessamente affinchè il Creatore vegliasse su di loro e su tutta la spedizione.  Roredrix e Bryger avevano brindato alla buona riuscita assieme a Blackill, Voa e July, mentre Kimmolauz, cercando in un qualche modo di sdrammatizzare e stemprare la tensione, si era abbandonato alle sue solite vanterie con Zigho e Silvèr.  Infine Darhius aveva chiesto a Ilaria alcuni trucchi su un paio di pozioni di cui aveva letto da qualche parte in una qualche biblioteca e ascoltava rapito le parole della sacerdotessa che, mimando i gesti del pestello, gli spiegava come ottenere la giusta mistura.  Poi i primi avevano lasciati i secondi, salendo la scalinata, lasciando solo i rintocchi confusi dei loro passi, via via attenuato dalla distanza, prima di sparire completamente.

L’attesa era la peggiore delle bestie da affrontare perché l’inattività dava modo alle peggiori fantasie di ciascuno di materializzarsi e farsi strada nel cuore… dando forza alla paura che, per quanto combattuta, era presente in ogni membro della spedizione. 
Roredrix accarezzava la sua Thunderfury e, concentratissimo, ripassava mentalmente posizioni, figure e schemi di combattimenti, ma non riusciva a calmarsi.  Avrebbe voluto mettersi in moto immediatamente, ma sapeva che non era possibile.  Si sentiva una belva in gabbia e, in effetti, proprio questo era in quel momento.  Si grattò con stizza il collo, allungandolo, l’armatura era diventata improvvisamente pesante, insopportabile.  Si voltò verso le scale che salivano, non voleva che gli altri lo vedessero in quello stato.  Era lui che avrebbe fronteggiato Arthas faccia a faccia, non era pensabile che avesse un cedimento adesso. Il problema è che stava accadendo.
Tossì un paio di volte, si grattò di nuovo. Gli mancava l’aria.  Si voltò verso il gruppo raccolto in silenzio dietro di sé ed intravide Lùce pregare accanto ad Ilaria e Clarisian e comprese cosa mancava, cosa aveva dimenticato in quel marasma di combattimenti e frenesia, il

rituale

solo modo che da anni, ormai, lo preparava al compito assegnato e che lo portava ad un livello di concentrazione che nulla avrebbe intaccato.  Non lo avevano intaccato le bestie di Molten Core, non l’avevano intaccato le creature di Blackwing Lair e neppure Kael’Thas e le forze di Forte Tempesta.
Frenetico, appoggiò la spada alla parete e non si curò del fatto che questa cadde poco dopo, mentre armeggiava con lo zaino osservato da un preoccupato Erebus.  Infine trovò quello che cercava: estrasse sorridendo un’ampolla contenente un liquido trasparente e sorrise.  Incrociò lo sguardo di Lùce la quale rimase a sua volta interdetta. Aveva capito, aveva

ricordato

visto quello che stava per fare.  Roredrix stappò con cura l’ampolla e bevve a piccoli sorsi l’acqua che si era portato da quando aveva lasciato Stormwind, l’acqua del

loro

lago vicino Goldshire, l’acqua che beveva sempre prima di uno scontro importante.  Chiuse gli occhi e i ricordi presero il sopravvento ed era quello che voleva, era quello che accadeva ogni volta.
Sentì il cuore rallentare, trovare il giusto ritmo e sorrise.  Aprì gli occhi e vide che Lùce ancora lo fissava.  Le fece un cenno del capo, come a ringraziarla perché era grazie a lei se ora era pronto.
Riposta l’ampolla nello zaino ed imbracciato quest’ultimo, afferrò Thunderfury sicuro come doveva essere.  L’attesa, improvvisamente, non rappresentava più alcun problema per lui.

* * *

Erebus dette un’occhiata al marcatempo gnomico che si portava sempre dietro e sperando che non si fosse inceppato valutò che il tempo passato era quello previsto: dovevano mettersi in movimento.
- Lord Fordring, è tempo. – disse l’evocatore imbracciando lo zaino.
Il paladino si assicurò le spalline e controllò che il mantello fosse libero, quindi con un sorriso per la priva volta sforzato annuì.
- Signori, la gloria ci attende, per chi non è mosso da sacri propositi, naturalmente. – aggiunse subito voltandosi facendo sventolare teatralmente il mantello e incrociando lo sguardo profondo di Shockwave.  – Prendete le vostre cose e preparare il vostro equipaggiamento. Ci muoviamo tra cinque minuti. Comandante Selune, Colèra aprirà con te la fila, in modo che possa far strada. Gli altri seguiranno la formazione che più preferirete. – Il paladino annuì e fece cenno con le mani ai suoi di muoversi.
Scalino dopo scalino, la piattaforma iniziò ad allontanarsi alle loro spalle mentre, due alla volta, ripresero ad arrampicarsi su quella strada tortuosa.
Salirono per diversi minuti, quasi completamente avvolti nell’oscurità, fino a quando Colèra si fermò, facendo cenno a Selune ed a quelli subito dietro di fare altrettanto.
- Secondo le indicazioni di Mograine, questo pannello girevole darà su un piccolo altare nella Culla dei Dannati, la cappella della Signora dei morti.  In condizioni normale i nostri uomini che ci hanno preceduto avrebbero incontrato decine di accoliti oltre alla stessa non-morta, ma fortunatamente non siamo in condizioni normali e la Signora è stata avvistata fuori dalla cittadella prima del nostro ingresso. –
Selune lo fissò torvo in viso.
- E non hai ritenuto utile dircelo prima? E se fosse tornata? I nostri uomini potrebbero averla trovata qui ad attenderli! –
- Non è successo. – rispose glaciale Colèra.
- E come lo sai? – chiese trattenendo la rabbia Roredrix dal gradino subito dietro.
- Perchè li avremmo sentiti combattere. Non è il momento di discutere, comunque, non è saggio. –
Selune si voltò verso il capo spedizione e per la prima volta lo fissò in modo minaccioso:
- Quello è che poco saggio è non condividere le informazioni per tempo, Lord Fordring, e confido non accada più. – Quindi fece un cenno a Roredrix che dando una spallata al non-morto, si preparò dietro ad entrare.
- Pronto. – disse.
Quindi Colèra premette al centro sulla sinistra e il pannello, incredibilmente senza emettere alcun suono, ruotò sul suo asse aprendo un varco a destra ed a sinistra di esso.
Il guerriero fu il primo a passare, subito seguito da Selune, Sceiren.  Gli altri attesero.
La parete che avevano ruotato dava effettivamente su una piccola alcova con al centro un altare pulito e ben tenuto. In ordine.  Non era quello che Selune si sarebbe aspettato.
Indicò alzando il mento la sala che si intravedeva e Roredrix, con una lentezza maniacale, si avvicinò rasente alla parete per valutare eventuali minacce.  Mano a mano che si sporgeva, valutò che se ci fosse stato qualcuno, non sarebbero stati loro i primi a trovarlo e si sentì rabbrividire al pensiero del primo gruppo partito, ma non vi era nessuno: le tre file di panche erano tutte sgombre e non vi erano tracce evidenti di sangue o colluttazioni, almeno fin dove riuscisse a vedere.  Davanti alle panche l’altare dove la signora indottrinava i suoi seguaci era anch’esso libero dalla propria padrona, evidentemente ancora all’esterno.  Il guerriero fece capolino e guardò sulla destra della piattaforma e vide la passerella che portava al piano di sopra.  Libera.
Tornò indietro e comunicò quanto visto.
- Muoviamoci, non sappiamo per quanto le cose resteranno così. – sussurrò, quindi fece strada e non mancando mai di guardare in direzione dell’ingresso alla grande sala di preghiera, i Templari Neri lasciarono le ombre per dirigersi al piano di sopra.

* * *

Proprio come aveva detto Colèra, il secondo piano della cittadella era costituita da una gigantesca sala circolare collegata alla piattaforma centrale da una serie di corridoi sospesi nel vuoto.  Lungo il passaggio, verso l’esterno, si aprivano altre sale, una delle quali era la destinazione del primo gruppo.  Quello che non aveva detto probabilmente perché non ne aveva la minima idea, era che dal basso perdendosi verso la volta alta una decina di metri sopra le loro teste, lingue di vapore azzurrino si allungavano, superando le passerelle, sfiorandole, una dopo l’altra, ovunque.  La cosa non avrebbe impensierito nessuno, se non fosse stato che ogni lingua di vapore, passando all’altezza delle passerelle, si deformava orribilmente, assumendo le sembianze di volti straziati dal dolore.  Cavità scure al posto degli occhi, la bocca aperta in un grido senza suoni che, mano mano che si allungava fino a disperdersi e confondersi con le altre più in alto, di spalancava orribilmente. 
- Ostili? – chiese con voce tremante lo gnomo nero.
- Ne dubito, fiocco di neve.  Se così fosse avremmo trovato i nostri coraggiosi compagni stesi al suolo a questo punto. – rispose cupa Albina.
- Dobbiamo procedere. Dove? – chiese Erebus a Colèra.
Il cavaliere della morte indicò la piattaforma sospesa. – Di là. –
- Rore, fai strada. – ordinò Selune e il guerriero, lanciando occhiate preoccupate a destra e sinistra del passaggio alle figure che lo sfioravano, dietro il suo scudo, iniziò ad avanzare.
- Pensi che Nadìr e gli altri ce l’abbiano fatta? – sussurrò Silvèr a Sceiren, schiacciandosi a lui per prendere maggiore distanza possibile dal corrimano, più volte attraversato da quelle sinistre presenze.
- Quel cadavere di cadavere trovato poco fa mostra che se non altro hanno superato questo orrendo spettacolo. – rispose per lui Lòre.
- Sono certo che a questo punto avranno già liberato la Passasogni. Non ho dubbi. – mentì Sceiren che invece temeva che qualcosa fosse andato storto. Tutto procedeva troppo liscio e non gli piaceva per niente.
Colèra raggiunse per primo il portale: era un gigantesca runa sconosciuta incavata nel pavimento al centro della piattaforma collegata al bordo esterno della sala.  Non appena si avvicinò, la runa, come riconoscendolo, emise un sinistro brillio azzurrino.
- Dovrò tenere aperto il portale per ciascuno di voi, ma non so per quanto tempo potrò farlo, quindi fate in fretta.  Per passare basterà fermarsi sulla runa, una volta attivata. – disse.
- Nulla di più facile, e poi? – chiese Seilune estraendo la sua bacchetta.
- E poi saremo all’esterno.  Non ho idea di cosa ci sia oltre la runa, salvo Lui. – rispose.
- Non appena emersi dall’altra parte, potremmo subire gli effetti della traslocazione, non dimenticatelo, quindi concentratevi prima ancora che a valutare la minaccia, a riacquistare il controllo di voi stessi.  E’ fondamentale. – disse Sceiren serio.
- E per farlo guardatevi le punte dei vostri stivali. – aggiunse Zaltar appoggiandosi al proprio bastone magico.
- Ottimo ragguaglio. Allora, qui siamo esposti: direi di muoverci... –
- Un’ultima cosa. – Erebus si fece avanti interrompendo Lord Fondring. – Tenete a mente che potremmo dover affrontare anche Sindragosa qualora… qualora qualcosa fosse andato storto a Nadìr e July, quindi, se questo dovesse accadere, Selune, io, Wintate, Sceiren, Clarisian, Zigho e Lòre terremo occupato il drago mentre tutti voi, nessuno escluso, vi concentrerete sull’obiettivo primario. –
- E’ follia! – protestò Bryger.
- E’ necessario. Vi chiedo solo di fare in fretta.  Non ho idea di quanto potremmo resistere. – aggiunse l’evocatore e mentre Silvèr fissava con la bocca spalancata per l’orrore uno Sceiren sereno e sorridente, Colèra mise un piede sulla runa.

* * *

Roredrix fu il primo a passare, seguito da Wintate, Selune, Erebus, Clarisian, Zigho, Sceiren e Lòre. Colèra era sotto evidente sforzo, la gamba che teneva premuta sul portale sembrava essere sul punto di venirgli strappata via da una forza poderosa, stringeva i pugni e i denti.
- Presto! Gli altri! – disse Lord Tirion Fordring scomparendo in un lampo scuro quando si fermò sulla runa. 
- Ci vediamo dall’altra parte! – grugnì Bryger sistemandosi l’elmo sul capo e passando sulla runa.
- Contaci. – gli rispose Lùce seguendolo.
Dyanor seguiva i suoi compagni scomparire uno dopo l’altro, tenendo però d’occhio il resto della sala, con gli occhi, fino a dove vedesse, e con le orecchie, anche oltre, così fu prima l’udito a dare l’allarme, prima che la vista confermasse.  Un battito d’ali. Si avvicinava.
- Non siamo soli…, disse concentrandosi, presto! Accelerare! – disse guardandosi intorno, guardando per aria e cercando di capire l’entità della minaccia.
Shockwave e Seilune passarono quasi insieme, seguito da Zaltar e Whitescar. Albina si avvicinò invece all’ufficiale.
- Quanto tempo abbiamo? –
Dyanor deglutì e arretrò istintivamente di un passo quando la vide. Una angelica creatura alata armata di una sfolgorante spada lunga che riluceva d’oro e d’argento fluttuava battendo le ali dalla parte opposta della sala.  Sembrava volare in cerchio, seguendo il baratro tra la piattaforma centrale e l’anello esterno.  Quando la vide, lei vide lui e si fermò a mezz’aria fissandolo.
- Tempo scaduto… - si lasciò sfuggire.
Albina sorrise.
- Via! – urlò Dyanor, mentre la creatura alata lo puntò con la sua spada, prima di volare in picchiata verso di lui.
Albina spinse senza troppi complimenti Shira facendola cadere sulla runa, quindi saltò a sua volta sparendo in un lampo bluastro. 
- Non… credo… di farcela oltre… - disse tra i denti il non-morto.
- Sono l’ultimo! – disse Dyanor prima di saltare con un balzo sulla runa e sparendo a sua volta.

* * *

Aveva attraversato molti portali nel corso della sua vita: alcuni frutto di magia, altri di oscuri incantamenti, alcuni stabili, altri pericolosamente improvvisati.  Ricordava la sensazione di smarrimento che aveva provato quando era arrivato a Netherstorm così come la sensazione di calore emanata dal portale per Stormwind custodito da A’dar, nella Città Aperta.  Ricordava ogni cosa e nulla di quanto provato era simile alla sensazione di freddo e desolazione che provò quando venne smaterializzato dalla runa della Cittadella di Icecrown.  Sentiva freddo, un freddo non palpabile o comprensibile, un freddo che non poteva essere combattuto o contrastato.  Era qualcosa di intimo e profondo, qualcosa che esulava da se stesso, avvertiva

una solitudine

un senso di vuoto che non aveva mai provato, la

nostalgia

devastante consapevolezza di aver lasciato la propria vita oltre quella runa e che ora, nel vuoti in cui era sospeso, non vi fosse altro che

morte

il nulla che era diventato.  Qualcosa dentro gli suggerì di aver paura, di cedere al panico, ma non voleva, non se la sentiva, non era necessario, non aveva più alcun senso.  Era semplicemente lì e lì sarebbe rimasto, poi un alito gelido di vento gli mosse i capelli, gli congelò le labbra, gli fece brillare di lacrime gli occhi.  Dyanor si sentì scosso e vide il volto di Lòre e udì le sue parole.
La spia si portò le mani alla testa e quel contatto lo fece riprendere del tutto.  Si drizzò in piedi e realizzò di essere nuovamente all’aperto.

* * *

Lord Tirion estrasse la sua spada lunga leggendaria e fece un passo in avanti, verso il centro della piattaforma circolare in cui si trovavano.  Al suo fianco Selune ed Erebus, subito raggiunti da Roredrix, Wintate, Colèra e Ilaria, quindi gli altri Templari Neri.
La piattaforma circolare era coperta da una sottile coltre di neve. Seppure il vento non del nord non spirasse incessantemente, i loro passi sarebbero stati attutiti rendendo anche il più pesante di loro, praticamente silenzioso.  La neve, trascinata dal vento, si appiccicava sui volti provati dei combattenti che, passo dopo passo, avanzavano verso il centro, dietro all’impettito comandante dei Crociati d’Argento. Di fronte a loro, al di là della piattaforma, delimitata da imperiose e imponenti colonne ricurve di roccia, grondanti di stalattiti di ghiaccio, una scalinata delimitata da due catene, una per lato, che scendeva dalla prima colonna per risalire fino alla seconda e poi giù di nuovo fino a culminare su due raccapriccianti steli uncinati che introducevano l’area del trono vera e propria.  Tra le due steli, sospesa da quattro catene più piccole assicurate a quattro bracciali dai riflessi vermigli tempestati da aculei rilucenti inforno a polsi e caviglie, una figura dalla pelle scura, abbandonata al suo triste destino di evidente supplizio e torture già patite. 
Poco oltre, seduto a gambe divaricate e schiena ben eretta, apparentemente incurante degli intrusi appena arrivati, il Signore dei Lich attendeva.  Le mani, avvolte in pesanti guanti uncinati, appoggiate sulle ginocchia; le larghe placche della sua armatura si sollevavano e abbassavano, come se fosse un vivente, ma non lo era, non più ormai.  L’elmo, il simbolo stesso del suo lignaggio regale distorto, gli celava quasi completamente il visto, ad eccezione delle labbra color cenere che si intravedevano tra i due lati dello stesso e l’aura azzurra dei suoi occhi, l’emanazione del potere sulla stessa morte, un potere così devastante da non poter essere trattenuto ed infatti, in un turbinio continuo, sfumava in scie rilucenti che lasciavano l’elmo all’altezza degli occhi per disperdersi verso l’esterno.  Di fronte a quello che Arthas era diventato, piantata nel ghiaccio, pronta ad essere afferrata dalla sua mano destra, Frostmourne attendeva.
Lord Tirion si voltò verso Selune e con voce solenne iniziò:
- Ho atteso a lungo questo giorno.  Tu e i tuoi uomini siete pronti per dare giustizia al Signore dei Lich? –
- Siamo pronti, comandante.  Che la battaglia per il destino di Azeroth cominci!  -

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