Il Covo dei Tessitori di Ombre > Figli dell'Ultima Alba - Cronache dei TN Atto III

Figli dell'Ultima Alba XLVII - Capitolo 38: L’ultimo respiro

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Sceiren:
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L’ultimo respiro

Come era arrivata lì.  Non lo sapeva, come non sapeva dove fossero tutti gli altri.  Si guardò intorno obbligandosi a non cedere al panico per quanto aveva intorno o, per essere più precisi, per quanto intorno a lei non c’era.  Era sola, su una piattaforma simile a quella dove stavano affrontando il nemico, ma la luce era diversa, soffusa e diffusa, proveniente dal basso anziché dall’alto e non vi erano nubi che si inseguivano nel cielo, solo una triste coltre grigia, immobile.  Ilaria si portò una mano tremante al medaglione riportante la fiamma della luce, il suo simbolo sacro, il simbolo del Creatore, quindi face un timido passo, continuando a guardarsi intorno.  Il cuore le tamburellava nel petto e, ogni secondo che passava, aumentava di frequenza.  Se lo sentiva scoppiare.  Inspirò e pregò il Creatore di darle, ancora una volta, la forza, il coraggio per superare quella prova, ma, per la prima volta da quando era novizia, si sentì

sola

priva del Suo conforto.  Un nodo in gola le bloccò un urlo sul nascere.  Doveva uscire da lì.  L’aria le mancava.   Camminò in tondo, traballando, sul punto di svenire.  La testa le girava e senza accorgersene raggiunse il baratro.  Si protesse con le mani, temendo di precipitare, ma impattò invece con una parete di ghiaccio.  Ilaria allungò le mani su quel muro che poco prima avrebbe giurato non ci fosse stato e si guardò intorno: era circondata. Era in trappola ed era

sola

sicuramente in un luogo diverso da quello in cui aveva iniziato la battaglia con Arthas.  Non era più in cima alla cittadella di Icecrown e lentamente, ma inesorabilmente, iniziò a pensare che, forse, non era più neppure su Azeroth.
Chiuse gli occhi e muovendo in silenzio le labbra riprese a pregare e, nuovamente, non ottenne alcun sollievo.  Era come se le sue preghiere non venissero ascoltate.  Si accarezzò la treccia e si accorse che il biondo platino che da sempre la contraddistingueva tra tante era sbiadito in un bianco sporcato di giallo.  Allongò le mani di fronte al viso ed anche la sua pelle, non più morbida come quando aveva sedici anni, ma ancora curata e piacente, era invecchiata, non per via delle rughe dell’età, ancora tutte al loro posto, ma a causa di qualcos’altro, qualcosa di più radicale e intangibile.
Ilaria finalmente gridò:
- Aiuto!!! –
Si sentiva il fiato corto e aveva nuovamente ripreso a barcollare.  Inspirava ed espirava sempre più rapidamente e nel giro di poco andò in iperventilazione, fino a quando, stramazzata a terra, non svenne.

* * *

Era freddo sotto la schiena, ma provava uno strano ora tepore sulla gota, ora sulla fronte, un tepore rassicurante, quasi paterno.  Aprì gli occhi titubante per spalancarli completamente quando mise a fuoco la figura che aveva davanti. 
Ilaria trattenne il fiato: aveva davanti a lei uno spettro, senza ombra di dubbio uno spettro.  Le sue forme erano definite, ma dai contorni confusi, che si perdevano nel nulla.  Era lo spettro di un vecchio, ma maestoso uomo del passato, abiti regali, ma di fattezze che non riusciva a riconoscere, forse per via del continuo fondersi e separarsi di queste, mosse da una brezza che lei non percepiva.
Avrebbe pregato il Creatore di scacciarlo da lei e avrebbe fatto di tutto per allontanarsi, se non fosse stato per quella situazione e per il fatto che, se non altro, non era più

sola

in cerca di qualcuno a cui porre domande, qualcuno che, magari, avrebbe potuto spiegarle cosa le stesse succedendo e dove fosse; soprattutto questo.
C’era dell’altro, però, qualcosa che non voleva ammettere: quella figura spettrale la rassicurava come, fino a prima di risvegliarsi in quel luogo, la rassicurava il pregare.   
- Chi sei? Dove siamo? – sussurrò.
Lo spettro sorrise e fu allora che Ilara notò la sua corona.
- Chi… sei? – chiese nuovamente.
La presenza disparve, per ricomparire in piedi, quindi allungò la mano alla sacerdotessa che, sorpresa, istintivamente, la colse e la strinse. Non era possibile!  Si ritrovò in piedi di fronte allo spettro di un re morto che riusciva a toccare!
- Dove siamo? Ti prego, maestà, ho bisogno di sapere! – disse con voce tremante.
Lo spettro finalmente rispose.  La sua voce era lontana, una lontanissima eco che rimbombava fino a loro.
- Sei qui per far giustizia su Arthas? – chiese fissandola con due occhi tristi.
- Sì… sì! Sono qui per questo! –  rispose Ilaria avvicinandosi.
- Sei qui per vedere distrutto il Re dei Lich? – chiese nuovamente con voce più ferma.
- Sì! Sono Ilaria, dei Templari Neri, sono qui proprio per questo, ti supplico, aiutami! Devo compiere la mia missione! –
Il sovrano allungò le sue mani trasparenti verso il viso di Ilaria che, ancora una volta, non ebbe paura e si lasciò sfiorare.
- Così bella… - Ilaria si sentì gelare il sangue: lo spettro piangeva.
- Aiutami! Tu sai dove sono, dove siamo, non è così? –
Lo spettro alzò il mento e tutto il suo regale portamento del sovrano che era da vivo parve ricomporre al sua forma instabile.  Ilaria sgranò gli occhi: lo riconobbe.
- Siamo nel profondo di Frostmourne e se non vorrai essere maledetto come io sono, allora dovrai uscire di qui. –
- Chi sei? – chiese nuovamente Ilaria incredula.
- Io? Nessuno ormai. –
Ilaria si umettò le labbra, ma inorridì quando non ne percepì il calore o qualunque altra sensazione.
-  Aiutami! Aiutami ad uscire da qui e ti giuro che porterò a termine al mia santa missione e libererò Arthas da questo supplizio… Re Terenas. –
A quel nome il sovrano di Lordaeron ebbe un sussulto: i suoi occhi brillarono e la sua bocca rimase socchiusa. 
- Quel nome…-
- Quel nome vi appartiene. E’ quello che siete!  Non potete dimenticarvi il vostro nome! Siete il sovrano di Lordaeron! –
- Lordaeron è caduta per mano del mio stesso figlio… - sibilò.
- No!: Lordaeron è caduta per mano del Re dei Lich e se di certo non posso riportarvi vostro figlio, posso se non altro dargli la pace… col vostro aiuto, Re Terenas. –
Lo spettro scivolò sul terreno, poi acquisì sembianze più concrete.  Una spada si allungò assicurata alla cintura.
- Per farlo, dovrai innanzitutto uscire da questa spada per fuggire il supplizio che, invece, incatenerà me, per sempre, ad essa. –
- Sono pronta. Il Creatore veglierà su di me. –
Il re sorrise.  - Il Creatore, qui, non potrà aiutarti. –
Fu Ilaria a sorridere questa volta.
- Lo ha già fatto: mi ma mandato un sovrano per combattere al mio fianco. –

* * *

Re Terenas II, sovrano di Lordaeron, raggiunse il centro della sala, seguito da Ilaria.
- Per permetterti di provare a tornare, dovremo allentare la presa che Frostmourne ha sulla tua anima in modo da indebolire il Re dei Lich dall’interno.  Questi, infatti, è un tutt’uno con la spada che porta: ridurre il suo potere equiale a ridurre il potere del suo custode.  Ora: la spada, da sempre, assorbe le anime di coloro che osano sfidarlo. Tu, mia cara, sei qui perché egli ti ha scelto per dare potere alla sua arma.  Per liberarti dalla sua presa, dovremo dissolvere la fonte del potere dell’arma… -
Ilaria inorridì: istintivamente si portò la mano destra sul petto, fu allora che notò la chiazza marrone proprio sotto lo sterno.  Gli occhi le si riempirono di lacrime.
- No! Non cedere allo sconforto ed al timore o avrà già vinto!  Puoi ancora lottare per tornare indietro. Non è questo il momento per cedere perché, se falliremo, se fallirai, avrai un’eternità per abbandonarti alla disperazione. –
La sacerdotessa strinse i denti, obbligandosi a non farsi vincere dal panico che sentiva premerle dentro e ripassò in rassegna le parole di Re Terenas.
- Se la spada acquisice potere assorbendo le anime… -
- Dovremo dar loro la pace, strappandole dalla tortura eterna in cui sono relegate. –
Ilaria annuì.
- Siamo solo noi però qui e poi… dovremo distruggere delle anime che soffrono solo perché sconfitte dal Re dei Lich per permettere a me di uscire?, si rabbuiò, Non credo che potrei accettare un simile prezzo per la mia libertà.  Deve essereci un altro modo. –
Re Terenas scosse il capo.
- In realtà, giovane Ilaria, non esiste alcun modo… Come tu stessa hai rilevato, siamo soli anche se circondati da centinaia di anime strappate ai loro corpi.  Io sono qui perché al Re dei Lich piace torturarmi e darmi… la speranza di poter liberare Arthas dalla sua influenza, ma non è possibile. –
Ilaria lo guardò, aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse.  Re Terenas, tuttavia, parve cogliere il suo pensiero.
- Un’anima ci sarebbe… -
- Non posso chiedertelo! – protestò la sacerdotessa avvicinandosi.
Re Terenas sorrise ancora una volta.  - Credi forse che in questi trent’anni non abbia tentato di porre fine alle mie sofferenze? Più di una volta ho provato a trafiggermi, ma non posso uccidere me stesso, essendo già morto; ma tu… tu puoi! Finchè non sarai consumata dalla spada! Il Re dei Lich  mi ha portato qui per acuire le mie sofferenze ed invece mi permetterà di fermarle!  Ci aiuteremo a vicenda, sacerdotessa: tu mostrerai pietà per questa anima dannata, ponendo fine alla sua agonia ed in cambio questo ti permetterà di tornare indietro e portare a termine la tua missione!  Fallo! –
- Non posso… - tremava.
- Devi! Per il bene di entrambi e per il bene di tutti coloro che altrimenti soffriranno per mano di mio figlio! Fallo! –
Ilaria afferrò il simbolo sacro ed anche se non avvertiva il conforto del suo dio, lo pregò ugualmente.  Lo spettro si arrestò quando quattro spade emersero dal terreno e una catena si allungò da una all’altra, circondandolo.
- Bene. Non posso muovermi ed ora completa il rituale. – disse.
Ilaria pregò nuovamente ed puntò la mano aperta verso di lui. Lo avrebbe colpito con lampi di fede fino a dissolverlo.  Non aveva altro modo, poi la luce scemò e un rantolo echeggiò per la silenziosa piattaforma.
- Cosa succede? – disse Ilaria guardandosi intorno.
Gli occhi del re brillarono. – Avanti! – la incitò e Ilaria colse il movimento della sua mano verso l’impugnatura della spada che teneva alla cintura.  Comprese il suo piano.  Il Re dei Lich non avrebbe permesso a nessuno di porre fine alle sofferenze del padre del suo vessillo e per impedirlo avrebbe dovuto agire… in un qualche modo, agendo sulla spada e sulle sue difese.
Uno spettro violaceo emerse da una parete.  Gli occhi lucenti lampeggiavano di rabbia e malvagità.  Ilaria la percepiva distintamente.  Allungò le sue secche e abnormi braccia verso di lei mentre, rapidamente, scivolava sul terreno. 
 Terenas ghignò.
- Liberami! – e così fece Ilaria.
- Ora preparati! Curami, mentre le affronterò e quando sarà il momento, quando sentirai la sua presa allentarsi, allora, solo allora, ricorri a quanto hai di più caro. Sarà il tuo legame per tornare indietro.-
- Grazie mio sire. –
- Grazie a te. –

* * *

Lo spettro cercò di aggirare l’ostacolo, ma trovò solo la spada del sovrano di Lordaeron che, calando fulminea, lo attraversò dalla spalla destra verso l’anca sinistra, tagliandolo in due con un fendente obliquo.  Lo spettro tremolò, dal viola al grigio, poi un lampo tornò alla sua tinta originaria e affondò gli artigli protesi nel petto di Re Terenas, attraversandolo da parte a parte.  Ilaria era confusa: i due spettri si attraversavano continuamente, uno nell’altro, in un miscuglio di colori dale tonalità sempre più confuse.  Quando l’anima dannata, però, attaccò il sovrano, fu lui a sfumare ed a lampeggiare come accaduto poco prima al nemico.  La sacerdotessa mise da parte le prorpie certezze e impose le mani in direzione dello spettro che la stava difendendo.  Un lampo di luce dorata, ma non brillante come era solito, emanò dalle sue mani e raggiunse la schiena del re.  Il sovrano si riebbe e colpì nuovamente la creatura, arretrando e liberandosi dai suoi artigli.  Lo spettro tremolò e sbiadì verso il grigio.  Cercò ancora l’affondo, ma Terenas scartò di fianco, centrandolo alla schiena.  La spada attraversò lo spettro come poco prima, ma quando terminò la sua corsa e riemerse dalla parte opposta, lo spettro lampeggiò una, due, tre volte, prima di scomparire in un rantolo raggelante.  Il Re si voltò di scatto verso Ilaria:
- Ora! –
Ilaria si portò le mani all’amuleto.  Si sentiva svenire, era strano, perché quella sensazione di capogiro non le procurava, oltre al disorientamento, fastidio o dolore, ma sollievo. 
Annuì al padre di cui che avrebbe sconfitto al suo ritorno nel mondo dei vivi e si aggrappò alla cosa che più di ogni altra desiderava rivedere.   La sacerdotessa chiuse gli occhi e focalizzò tutta la sua attenzione su Lùce e pregò il Creatore di tornare indietro, quindi disparve, sotto gli occhi fieri, ma sconfitti, di Re Terenas II di Menethil, sovrano di Lordaeron.

* * *

Silenzio.  Nulla turbava la quiete assoluta che la circondava.  E poi c’era il buio: una tenebra protettiva che sentiva amica e non ostile.  Ilaria fluttuava in un oceano scuro, senza alcuna cognizione di dove fosse né di cosa sarebbe accaduto da lì in avanti, ma a differenza di quando si era risvegliata dentro la spada, sentiva la Sua presenza nuovamente intorno a lei e, pertanto, non temeva alcunché. Nulla avrebbe potuto spaventarla.  Era al sicuro.  Poi, come eco lontane, sempre più vicine, avvertì i suoni della battaglia.  Metallo contro metallo, crepitio di fiamme che ardevano, urla, grida di incitamento, tonfi sordi intorno a lei.  Cercò di concentrarsi, voleva risvegliarsi.  Avevano bisogno di lei!  Pregò il Creatore di farle aprire gli occhi e accadde, ma non come immaginava.   Ebbe un sussulto, poi una fitta ottenebrante di dolore le strappò un rantolo.  Ilaria sgranò gli occhi. Davanti a lei il volto circondato da una dorata armatura di un paladino che conosceva, ma di cui non ricordava il nome che invece, conosceva il suo, urlandolo continuamente per attirare la sua attenzione, per evitare che perdesse conoscenza…

* * *

Shockwave stringeva tra le braccia il corpo della sacerdotessa caduta. 
- Ilaria! Ilaria! Guardami! Guardami!  - e liberò dalle mani una scarica di energia nel tentativo di rimarginare la profonda ferita al ventre. La sacerdotessa agonizzante strabuzzò gli occhi, cercando di riacquistare il controllo: perdeva sangue dalla bocca e si dimenava in preda a convulsioni.
- Lùce… - sibilò guardandosi a destra e sinistra e quando la vide, le lacrime corsero lungo le sue gote: Arthas era fronteggiato da un demone alto due metri e, alle sue spalle, avvolta in un turbinio di ombre e lampi, riconobbe la sua amata sorella che, puntando le mani, una dopo l’altra, scagliava micidiali maledizioni contro il nemico.  Il cuore ebbe un sussulto e un fiotto di sangue schizzò sull’armatura del paladino che si stava prendendo cura di lei.  Shockwave le premette la ferita, strappandole un grido di dolore, poi voltò verso la sacerdotessa dell’ombra e con tutto il fiato che aveva in gola la chiamò fino a quando non attirò la sua attenzione.
Lùce scomparve per ricomparire al fianco del paladino: i suoi occhi brillanti di rabbia e lacrime incrociarono quelli stravolti dalla sofferenza di Ilaria, poi le ombre vennero spazzate via dalla forza dell’amore e Lùce tornò semplicemente Lùce.
- Ilaria, Ilaria! Non muoverti! – pianse, le impose la mani e un lampo di energia vitale scosse la prima e attraverò la seconda, non sortendo, però, alcun effetto.
- Lùce… sorella mia… - tossì.  La consorella le asciugò il sangue dai lati della bocca, guardando inorridita il bianco dei suo denti punteggiati del rosso vivo di quest’ultimo.
- Non mi lasciare, non mi lasciare! – ripeteva accarezzandola sotto gli occhi vigili del paladino che non mancava mai di tenere sotto controllo il campo di battaglia.
- Il Creatore mi ha riportato qui… da te… ed ora sono pronta. –
- No!, urlò Lùce asciugandosi nuovamente le lacrime, Sono io che non sono pronta! Non mi puoi lasciare! Se non lo vuoi fare per te, devi farlo per me! Combatti! –
Ilaria sorrise e allungò una mano tremante verso il viso di Lùce.  La ragazza l’afferrò e dolcemente se la portò sulla guancia, i suoi occhi si abbassarono sulla ferita ed alla chiazza di sangue sempre più larga sotto la schiena.
- Il nostro cammino non finirà oggi, solo… viaggerò con te in un modo diverso.  Ricorda: la pietà… l’amore… la fede in Colui che mi ha permesso di tornare dal luogo dannato in cui Arthas mi aveva portato… sono le uniche certezze… che hai… - si concentrò, strinse i denti e aprì bene gli occhi.  La presa sulla guancia divenne una morsa e Lùce si portò la mano scossa dai fremiti di Ilaria tra le sue.
- Non è colpa del Creatore… la morte… ma un Suo dono la vita.  Non permettere mai che quanto non comprenderai da ora in avanti ti faccia perdere la via… giuramelo… -
- Te lo giuro, te lo giuro, ma non parlare… tu… io… risparmia le forze. –
- Oggi io me ne andrò per incontrare il Suo giudizio, ma tu… tu… oggi rinascerai! Che… la luce… ti accompagni… sorella mia… -
- Che la luce accompagni te. – la presa venne meno e la mano di Ilaria perse di ogni vitalità.
Shockwave chinò il capo sulla ragazza, china sul petto della sua mentore, scossa da un pianto inconsolabile.

* * *

Avvertì il pianto disperato di Lùce e senza neppure doversi voltare comprese quanto accaduto alle spalle delle sue ali.  Avrebbe strappato la testa dal collo ad Arthas per quello, non lo avrebbe perdonato né avrebbe avuto pietà. 
Pervasa da una frenesia non di questo mondo, Albina evitò un colpo di Frostmourne, spalancando le ali e balzando all’indietro, prima di scagliare una sfera d’ombra contro il non-morto che avrebbe sventrato.  Arthas incassò il colpo e contrattaccò Roredrix, impattando per l’enensima volta contro Thunderfury. 
Anche il guerriero era animato da una rabbia non usuale. Sentire Lùce piangere in quel modo e saperne il motivo, lo avevano letteralmente galvanizzato.  Non si curava dello sforzo, delle ferite, del dolore. Voleva solo vendetta.  Gridava ad ogni assalto la sua ira e spesso si ritrovava a fissare gli occhi di Arthas a pochi centimetri, sovrastato dalla sua statura, ma per nulla intimorito.
- La pagherai. – sibilò con i muscoli tesi e le vene del collo pronuciate per lo sforzo.
Quindi fece forza e sfruttando il peso del Re dei Lich, deviò la sua massa sulla sinistra, si voltò e calò la spada, aprendo uno squarcio sull’armatura del nemico, all’altezza della spallina destra.
Poi fu il turno di Albina che, in carica, travolse Arthas afferrandogli entrambe le braccia e rotolando con lui sulla piattaforma.
Il demone che era diventata sbavava e aveva le fausci spalancate.  Cercò di addentarlo, ma fallì, poi Arthas si rimise in piedi, allungando le braccia verso l’alto, quasi senza sforzo.
- Insolente abominio. – la minacciò, prima di scagliarla alle sue spalle, contro la scalinata.
Infine, tesa la spada parallela al terreno, descrisse un arco, allontanado Roredrix, Wintate e Bryger, arrivato poco prima.
- Vieni qui, codardo!, non c’è mossa che tu possa fare che mi impedirà di fracassarti il cranio! – Bryger era come una belva in gabbia.  Stringeva la sua arma prediletta e saltava da destra e sinistra, pronto alla carica, appena ne avesse avuto l’occasione. Infine Arthas alzò la spada in aria.
Il primo che avvertì quel suono familiare fu Dyanor.  Era accanto a Lùce ed ai guaritori, pronto ad intervenire qualora fossero stati minacciati.  Accanto a lui i paladini Whitescar, Selune e Shockwave, poi l’altra sacerdotessa Clarisian e Sìlver.  Più in là, Zigho, i maghi e lo gnomo nero non mancavano mai di raggiungere il signore dei non-morti con i loro colpi più micidiali.
Dyanor si concentrò: sapeva di riconoscere quel fruscio appena udibile, ma non riusciva a fare mente locale… non ne ebbe il tempo: dal basso, dal baratro sulla destra della scalinata, fulminea e bellissima, una figura alata balzò oltre la piattaforma per spiegare le ali, restando a mezz’aria, quindi scese in picchiata sui combattenti in corpo a corpo con il suo padrone.

* * *

Bryger non ebbe modo di voltarsi: quella angelica apparizione, tutt’altro che benigna, si era avventata su di lui cogliendolo alla sprovvista, esattamente come tutti gli altri, l’aveva colpito con forza tra collo e testa, stordendolo, per poi afferrarlo e riprendere il volo. La “Mano di Ragnaros” pesava terribilmente, gli girava la testa e non aveva ben chiaro cosa stesse succedendo intorno a lui e così, dopo quando la valchiria piegò puntando al bordo della sala del trono, le dita del nano mollarono la presa e il martello da guerra leggendario cadde al suolo.

* * *

- Fermatela! – ordinò Zigho, prima di scoccare due frecce contro la valchiria.  Silvèr, dal canto suo, valutò invece la peggiore delle possibilità ed abbassato l’arco prese a correre in direzione della creastura alata.  Il nano era incosciente e non avrebbe potuto fare nulla per evitare di essere portato verso la sua fine… decine e decine di metri più in basso.
Sceiren fece cenno a Seilune e la gnoma lanciò un dardo congelante contro i due sospesi, subito seguita da Zaltar che, sfruttando la scuola arcana, formulò un complicato incantesimo che, insieme agli effetti del dardo della maga, ottenne l’effetto di rallentare il volo dell’aggressore.
Whitescar, seguita Sìlver, pregava per Bryger ed era pronta a ripetere quanto fatto con lo gnomo nero, anche se un nano a peso morto difficilmente sarebbe stato gestibile come uno gnomo che collaborava… ciò nonostante piantò la spada nel ghiaccio e guardando la creatura fluttuare sopra la sua testa, si preparò ad intercettare il suo fardello.  Silvèr, in posizione sul bordo, riafferrò l’arco e prese la mira dal basso, per cercare di freddare la creatura, già raggiunta da un paio di frecce di Zigho, ma era complicato, almeno fino a quando Bryger non si riprese.  Il nano, resosi conto di essere per aria, non perse tempo: dette una testata sull’elmo che copriva il volto della valchiria fino al naso celandone gli occhi con tanta forza da frantumargli naso e fronte ed incavando l’elmo nel suo cranio.  La valchiria urlò di dolore e si piegò in avanti, prima che una freccia le trapassò la testa passandola dal mento e uscendole dalla nuca.  I due caddero, fortunatamente al suolo.  Bryger rotolò di fianco e, rimessosi in piedi, fissò disgustato quell’orrendo incrocio di sacro e demoniaco, quindi con un calcio la gettò di sotto.  Poi, ringraziati i compagni, tornò sui sui passi ed riafferrò la sua amata arma, per lanciarsi in carica contro Arthas il quale non aveva smesso un attimo di contrastare Roredrix, sempre più stanco.
- Ben fatto. – disse la paladina all’elfa, la quale annuì, prima di balzare su un fianco istintivamente, quando un’ombra sconosciuta superò entrambe le templari.  Whitescar alzò gli occhi un attimo prima che una seconda valchiria la raggiungesse con un calcio ben piazzato in pieno volto.

* * *

- Ancora! Lassù! Presto! – Silvèr trattenne il respiro, afferrò due frecce e, senza prendere la mira, scoccò in alto. La prima attraversò l’ala della creatura, la seconda andò a vuoto.  Sceiren corse a sua volta verso l’elfa e Seilune scagliò due rapide, ma meno efficaci, lance di ghiaccio contro la valchiria.  Zaltar ricominciò la formulazione del suo incantesimo rallentante, ma la valchiria era troppo vicina al bordo.
- Fermatela! – urlò Selune, prima di tornare a concentrarsi sulle preghiere per tenere in vita Roredrix.
Clarisian impose le mani, quindi lanciò uno scudo protettivo su Whitescar.  Sceiren, valutata la distanza dal bordo e visto lo scudo comparire intorno alla paladina, tentò una misura disperata e lanciò una palla di fuoco sui due, sperando che l’esplosione li spingesse verso il centro, ma la valchiria poteva utilizzare la totalità delle proprie capacità di movimento e, con un colpo delle ali, prese quota cambiando repentinamente direzione, evitando l’incantesimo del mago.  Fortunatamente, però, Zaltar completò la propria magia e le ali della creatura si appesantirono. 
Erebus e lo gnomo nero lanciarono due sfere d’ombra che centrarono il bersaglio e così, quando superò il limite, cadde morta nel baratro… trascinandosi dietro, però, la sua preda.

* * *

Arthas fissò Roredrix negli occhi.
- La speranza… svanisce. – disse, prima di allontanare con un colpo di Frostmourne il provato guerriero.
Roredrix si voltò e lanciò un’occhiata ai suoi compagni sul bordo.   Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
- Te la farò pagare. -
Al suo fianco Wintate e Bryger, dietro di loro Dyanor e Lòre.  Sceiren, asciugatosi le lacrime dagli occhi rilucenti, accanto ad una Silvèr furente, fissava Arthas.  Colèra, passo dopo passo, raggiunse i combattenti e prese posto alla sinistra di Roredrix. 
Zaltar, Seilune e Zigho erano pronti dalla parte opposta, accanto ad un Erebus sconvolto ed un ancora più scuro gnomo senza nome.  Albina, tornata in sé, accanto a Shockwave e Clarisian, fissava il suo nemico, in attesa dell’ultimo assalto.  Le sue ferite si rimarginavano, sotto il tocco benefico di Shira che, riposta l’arma nel fodero, pregava il Creatore per lei.  Più in dietro, una Lùce con gli occhi rossi per il pianto, ma pronta al suo compito, completava lo schieramento.  Stretto in mano il simbolo sacro di Ilaria e col suo sangue ancora caldo sulle vesti, era pronta per dare aiuto ai suoi amici.
- E’ la fine. – disse calmo Roredrix.
Arthas mise Frostmourne in posizione di difesa, quindi Roredrix caricò.

* * *

I fendenti piovevano da ogni parte: la spada leggendaria del suo avversario principale impattava con Frostmourne inondandolo di scintille e vista l’entità della minaccia, spesso preferiva subire i colpi dell’altro guerriero e dei due assassini ai colpi della Furia del Fulmine.  Sfruttava inoltre la calca intorno a sé, per evitare colpi a distanza ad opera di esperti di magia, evocatori e cacciatori, ma spesso gli incantesimi lo raggiungevano, così come le puntali punture delle frecce scagliate dalle retrovie.  Inoltre il reparto dei curatori ora era piazzato e senza più la monaccia dei suoi seguaci non-morti, erano concentrati solo sui loro combattenti. E poi c’era quel nano che non mancava mai di colpirlo con la leggendaria Mano di Ragnaros.  Le ferite iniziavano a farsi sentire così come la forza dei suoi avversari. 
Arthas inziò ad arretrare, ansimando, incalzato da un furente Roredrix che menava colpi senza più alcuna strategia, ma solo sete di vendetta, sete di sangue, e non era il solo.  Il Re dei Lich, evitò all’ultimo momento un affondo di Wintate, poi deviò l’ennesimo colpo di Thunderfury, ma subì una una moltitudine di rapidi colpi di Lòre.  Si divincolò dalla calca che aveva incontro, mentre le ferite si continuavano ad aprire, ma questo se da un lato gli dette respiro, dall’altro lo espose alla parte degli avversari che si teneva a distanza, pronta per quell’apertura.
Il mantello prese ad ardere così come sentì la temperatura aumentare.  Il ghiaccio sotto ai suoi piedi si sciolse per poi risolidificarsi istantaneamente, quando una pioggia di grandine spigolosa e sempre più serrata gli piovve addosso.  Si allontanò, ma una raffica di sfere arcane lo riscagliò nell’area d’effetto della tempesta di ghiaccio evocata dalla gnoma.  Tutto in pochi attimi: Arthas si voltò indietro e si sentì esplodere le carni: pustole sempre più numerose si moltiplicarono su tutto il suo corpo, mentre sfere d’ombra lo raggiungevano una dopo l’altra.  Una freccia nera gli si piantò dietro la schiena, seguita da una seconda che la raggiunse un attimo dopo.
Incrociò per un attimo gli occhi duri di una sacerdotessa che alzate le mani al cielo liberò un’ondata di energia vitale che travolse lui e tutti i suoi assalitori, amplificando a lui il tormento dato dalle fiamme che ora ardevano sulla sua armatura e dalle piaghe scatenate dagli evocatori ed evidentemente dando sollievo ai suoi avversari che parvero recuperare le forze. 
- E’ la tua fine! – urlò Roredrix evocando il potere della sua spada, ma Arthas sorrise.
Sollevata la spada al cielo, da Frostmourne esplose un’ondata di pura energia negativa che si espanse in tutta la piattaforma, travolgendo uomini e cose.
Roredrix si protesse istintivamente con la sua spada che, all’impatto con quell’ultima, devastante sollecitazione, si crepò, per spezzarsi e cadere poco distante dal suo padrone con la schiena a sua volta spezzata, come quella di tutti gli altri suoi compagni.

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