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Figli dell'Ultima Alba XLVIII - Capitolo 39: Epilogo: Ritorno a casa (III)

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Sceiren:
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Epilogo: Ritorno a casa (III)

Arthas calò la sua spada e si guardò intorno, posando i suoi occhi rilucenti da uno all’altro avversario sconfitto.  Sorrise ancora.  L’onda d’urto scaturita dalla furia di Frostmourne era stata devastante. 
Si fermò al centro della sua piattaforma e si guardò con noncuranza parte delle ferite a braccia e petto.  La sua armatura era in più punti squarciata come sapeva essere il mantello, spalline e parte delle placche a protezione della schiena. Lo schiniere di sinistra era fracassato.  I colpi del nano erano stati insidiosi.  Il Re dei Lich annuì: avrebbe potuto porre fine allo scontro ben prima di subire simili ferite, ma avrebbe avuto senso?
Si voltò verso il blocco di ghiaccio in cui aveva intrappolato Tirion Fordring e i suoi occhi lampeggiarono.
- Nessuna domanda resterà priva di risposta, così come non lascerò che resti alcun dubbio su quanto successo qui oggi., poi tornò a spaziare sui cadaveri dei suoi avversari disseminati ai suoi piedi e parlò loro come se potessero sentirlo, Voi siete i più grandi campioni di Azeroth! Avete superato ogni sfida che ho lasciato lungo il vostro cammino. I miei servitori più potenti sono caduti sotto i vostri implacabili attacchi e la vostra furia incontenibile… così mi chiedo: è veramente la sete di giustizia che vi muove? Ne dubito. –
Arthas ruotò il capo per inquadrare con la coda dell’occhio la tomba di ghiaccio in cui aveva imprigionato il suo acerrimo nemico.
- Li hai addestrati bene, Fordring ed ora mi hai consegnato la più grande forza da combattimento che Azeroth abbia mai conosciuto… proprio qui… nelle mie mani, esattamente come volevo che facessi.  Non temete, campioni, sarete ricompensati per il vostro sacrificio inconsapevole. –
Il sovrano di Icecrown sollevò la Frostmourne in aria e le rune lungo la lama e sull’elsa della spada emanarono energia che serpeggiò sinistra, disperdendosi intorno all’arma.  Infine, un fulmine d’ombra si allungò verso il cielo, prima di dividersi in una miriade di scariche che, dalla punta della spada, raggiunsero ogni caduto sul suolo di battaglia, collegando il suo corpo alla spada stessa, in un arco continuo e pulsante.
- Ora guarda!, Fordring, come li farò tornare dalla morte quali Signori della Piaga.  Essi porteranno nel mondo caos e distruzione e la caduta di Azeroth, infine, giungerà per mano loro, per mano dei campioni che avrebbero dovuto impedirla… e tu, Fordring, tu sarai il primo a morire. Adoro questa irona della sorte! –
Inspirò e si abbandonò ad una terrificante risata, una risata al contempo di Arthas e del Signore dei Lich che condivideva con lui il suo corpo.
Le nubi che si accavallavano nei cieli di Icecrown da sempre, lentamente placarono la loro lotta e, aprendosi, permisero ad un raggio di sole di raggiungere la piattorma, centrando il blocco di ghiaccio accanto alle scale che portavano al Trono Ghiacciato.  All’interno, Tirion Fordring, immobile, ma cosciente, era stato costretto ad assistere impotente alla disfatta ed ad ascoltare le parole di colui che avrebbe distrutto il mondo per come lo conosceva e per il quale, da sempre, combatteva nel nome del Creatore e della Luce… poi quel raggio di sole, un timido raggio di sole aveva superato la coltre di nubi che da sempre ne impediva il passaggio e aveva raggiunto proprio lui, irradiandolo del tepore che solo Lui avrebbe potuto rilasciare.

Luce

Tirion Fordring non aveva dubbi, non aveva mai avuto alcun dubbio sulle sue azioni, da quando era un semplice crociato e da prima, quando ancora, da novizio, studiava al lume di una candela i tomi che il suo mentore gli sottoponeva.  Non aveva mai avuto dubbi sul potere della

Luce

pietà, della compassione, della giustizia, della fermezza che il Creatore rappresentava: dolcezza e amore compassionevole senza fine, equivalente solo alla possenza della sua forza contro il male e neppure lì, imprigionato in quella lapide di ghiaccio, lì, dove chiunque si sarebbe abbandonato alla rassegnazione, Tirion Fordring, alto comandante dei Crociati d’Argento e paladino della Luce sacra del Creatore, non aveva il minimo dubbio sull’esito delle sue azioni e se, davvero, sarebbe morto come Arthas diceva, sarebbe morto nel nome del solo Dio che mai aveva conosciuto e che ora gli donava l’ennesimo segno della sua presenza ed approvazione. 

Luce… concedimi un’ultima benedizione

Ripeteva mentalmente quell’invocazione, quella preghiera, quella supplica, quella richiesta ad un Dio che per lui era molto di più che una presenza lontana, ma un compagno di viaggio, un comandante sempre presente e che ora lo avrebbe aiutato per portare a termine la missione che gli aveva assegnato.

Luce… condedimi un’ultima benedizione

Il Re dei Lich continuava a ridere, sicuro della vittoria e i fulmini di energia maledetta che lasciavano Frostmourne erano sempre più intensi.  Presto avrebbe completato il suo abominevole sortilegio e coloro che avrebbero dovuto abbatterlo si sarebbero rialzati per servirlo. 
I muscoli del collo del crociato si tesero e il ghiaccio ebbe un cedimento.  Una crepa si allungò in prossimità del volto, illumnato dalla luce del sole.

Luce…

Tirion strinse il pugno serrato sull’impugnatura della sua “Ashbringer”, una nuova crepa si allungò zigzagando verso il basso,

… concedimi…

strinse gli occhi umidi di lacrime e serrò le palpebre, stringendo la mascella;

… un’ultima benedizione …

 Infine riaprì gli occhi e spalancò la bocca, calò la gamba verso il basso,

... per rompere …

completando quell passo che Arthas gli aveva bloccato sul nascere. Le crepe si moltiplicarono per allargarsi e, finalmente, esplodere in una pioggia di lapilli cristallini quando il crociato d’argento emerse dalla prigione infrangibile dalla quale avrebbe dovuto assistere alla fine.

- … queste catene! – urlò, quindi si voltò verso il Re dei Lich.  Mosso da una forza superiore, Tirion si chinò e spiccò un balzo sollevando in aria la sua spada leggendaria e calandola su Frostmourne.  La spada del Lich King, forse perché già fortemente provata dal confronto con Thunderfury, forse perché dispensava gran parte del proprio potere per riportare alla non-morte gli avversari del suo padrone o, forse, per volontà persino più alta di quella del Signore dei Lich, all’impatto con la lama leggendaria impugnata da Tirion, cedette, spezzandosi in due in una esplosione che travolse i due campioni.  Tirion cadde in piedi poco distante dal Signore dei Lich che, riparatosi con entrambe le mani, fissò esterrefatto l’elsa e parte della lama, caduta poco distante dal resto di quest’ultima.
- Non può essere! – tuonò incredulo.
- E’ finita, Arthas!, nessun’altra vita sarà consumata dal tuo odio! –
Dai due frammenti di Frostmourne, fuoriuscendo dalla spaccatura aperta dal colpo di Tirion, uno dopo l’altro, sempre più numerosi e rapidamente, uscirono vapori dalle fattezze lontanamente umane, elfiche, orchesche e di decine e decine di altre razze indistinguibili.  Le anime di tutti coloro sconfitti dalla spada e che, neppure dopo la morte, avevano trovato riposo, divorati dalla lama maledetta.  Le anime sibilando circondarono il loro carceriere, emettendo lamenti sempre più simili a urla di dolore e rabbia, in un turbine sempre più rapido intorno ad Arthas che, voltandosi a destra e sinistra, valutava quale dovesse essere la sua prossima mossa.
Infine le urla di rabbia crebbero di intensità e le anime circondarono il Re dei Lich, staccandolo da terra e sollevandolo alcuni metri in aria.  Arthas si dimenava in preda alla sua rabbia, ma era immobilizzato, non ruscendo a contrastare le centinaia di anime che lo tenevano sospeso.
Dalla l’elsa fratturata e dalla lama poco distante da essa due vapori azzurrini uscirono incontrandosi al centro, per salire di un metro, un metro e mezzo, allargandosi e definendo contori di una figura umanoide, umana, regale.  Tirion sollevò il mento e fissò con occhi carichi di rispetto il sovrano liberato dall’arma di suo figlio, quindi lo salutò con un cenno del capo.
- Infine libero.,  disse, quindi alzò gli occhi al Signore dei Lich che si contorceva in preda ad una furia senza eguali, amplificata dall’impotenza di quelle catene invisibili che lo trattenevano., E’ finita, figlio mio.  E’ giunta la resa dei conti. –
Re Terenas II, sovrano di Lordaeron, alzò le mani al cielo e una luce accecante emanò dal suo corpo, avvolgendolo e perdendosi in alto, aprendo un secondo squarcio tra le nubi.
- Alzatevi, ora, campioni della Luce!, ordinò e dal cielo che si aprì completamente, scacciando le nubi lontano dalla piattaforma, un raggio di luce dorata raggiunse il corpo di ogni combattente disteso al suolo., Alzatevi!: il Re dei Lich deve cadere! – ordinò.
La vita tornò nei corpi dei Templari Neri che spalancarono all’unisono gli occhi inspirando nuovamente l’aria nei propri polmoni.  Uno dopo l’altro si alzarono ed afferrarono le loro armi, senza dire una parola, guardandosi intorno, come mettendo a fuoco la realtà che li circondava, risvegliati da una notte di sonno… Roredrix guardò Bryger, Bryger si voltò verso Lùce che incrociò Silvèr accanto a Sceiren, concentrato su Ilaria.  Uno dopo l’altro i Templari Neri si avvicinarono a Tirion ed a Re Terenas, senza correre, senza rabbia, senza frenesia, in pace.  L’odio, la vendetta, la violenza, la furia che li aveva accompagnati, soprattutto negli ultimi istanti di quello scontro, erano passati, erano morti con loro.  Quello che albergava dentro di loro era solo pace, infusa direttamente dal Creatore.
- Ed ora sono qui: un leone in mezzo ad agnelli… che però non mi temono più… – sibilò furente.
- Giustizia! – gridò Tirion.
Roredrix alzò gli occhi al suo nemico e contemplò il suo corpo che veniva raggiunro da frecce, palle di fuoco, sfere d’ombra, di ghiaccio e di energia arcana, da pugnali da lancio e colpi di fucile, lo fissò subire passivo, senza avere la capacità di reagire ed infine, quando non fu più in grado di reggere le offensive dei sui compagni, lo osservò gridare la sua rabbia per l’ultima volta mentre, abbandonato anche dalle anime che lo avvolgevano, cadde al suolo sconfitto.  L’elmo rotolò verso la scalinata, mostrando il volto di quello che un tempo era Arthas Menethil, figlio del re.

* * *

I Templari Neri si allontanarono dal suo corpo, senza dire una parola, circondando Tirion Fordring il quale, riposta la sua spada dietro la schiena chiuse gli occhi ed alzò il capo alla luce calda del sole che non aveva smesso neppure un attimo di irradiare la sede dello scontro.
Arthas allungò la mano tremante verso l’elmo che giaceva poco distante da lui, ma non riusciva a muoversi e le forze gli vennero meno.  Quella distanza infinitesima era incolmabile.  La luminescenza azzurra che lasciava i suoi occhi disperdendosi intorno al suo volto, il simbolo stesso della sua sovranità sulla non-morte, lasciò il suo viso, restituendo ad Arthas Menethil semplicemente Arthas.
Il fantasma di Re Terenas, scomparve dalla sua posizione, per ricomparire progressivamente accanto al figlio, quindi si inginocchio, fissandolo in un misto di amore paterno e tristezza.
Arthas allungò la mano verso il padre.
- Padre… è… la fine questa? – la sua voce era tornata umana, non più ridondante a causa della presenza del Re dei Lich.
Terenas afferrò la mano del figlio e la strinse con le sue, portandosela al petto.
- Finalmente, sì.  Nessuno sovrano regna per sempre, figlio mio. –
Arthas si guardò intorno.
- Vedo solo… oscurità… di fronte a me… -
Arthas spirò: i suoi occhi ruotarono all’indietro e come se il capo accompagnasse quel movimento, si abbandonò alla morte, finalmente la morte ed accompagnato dalla mano del padre, toccò terra.  Terenas passò la mano sulle palpebre, chiudendole dolcemente, quindi si rialzò in piedi e si avvicinò ai Templari Neri.
- Senza colui che lo comanda, la Piaga inquieta diventerà una minaccia ancora più grande per il mondo., e fissando Tirion dritto negli occhi aggiunse glaciale, Il controllo deve essere mantenuto.  Dovrà sempre esserci… un Re dei Lich. – sentenziò. 
Lo spirito aumentò di luminosità passando dall’azzurrino ad una luce bianca accecante, prima di sparire, finalmente in pace.  Tirion si protesse gli occhi da quella luce così forte, quindi, una volta che Re Terenas disparve, fissò l’elmo del potere e lo afferrò, sollevandolo lentamente.
- Il peso di questo fardello… dovrà essere mio… nessun altro dovrà… -
- Tirion! Hai un destino oscuro tra le tue mani, fratello mio, ma non sarà il tuo! –
Tirion sgranò gli occhi e seguito da tutti gli altri spettatori di quella pagina di storia, si voltò verso il trono alle sue spalle. Quella voce… quella voce la riconosceva, ma non riconosceva colui che la portava.  Ai polsi ed alle caviglie, ciò che restava delle catene che lo avevano imprigionato sopra la scalinata del trono, probabilmente distrutta dall’onda  d’urto che aveva sterminato i Templari Neri poco prima.  Ustioni raccapriccianti ricomprivano ogni parte del suo corpo non celata dall’armatura, fornendogli un sicuro anonimato, tuttavia i suoi occhi non erano umani o terreni, pervasi da una luminosità alimentata dalla fiamma di un potere ancestrale.  Era seduto sul trono appartenuto ad Arthas, quindi si alzò e, scalino dopo scaline, lentamente, si avvicinò.
- Bolvar?! Per tutto ciò che è sacro… - esclamò esterrefatto Tirion, ancora con l’elmo in mano.
- Le fiamme del drago… hanno segnato il mio destino.  Il mondo dei viventi non può più darmi conforto, oramai.  Metti l’elmo sulla mia testa, Tirion, e per sempre sarò io ed io soltanto, il carceriere dei dannati. –
Tirion arretrò di un passo, scuotendo il capo.
- No!, vecchio amico mio, non posso… -
- Fallo, Tirion! Tu e questi valorosi ora avete un destino tutto vostro da compiere, ma questo…  l’ultimo atto del mio servizio… spetta a me. –
Il paladino abassò gli occhi fieri al suolo, quindi annuì gravemente.
- Non sarai dimenticato. – disse.
- Io devo essere dimenticato, Tirion! Se il mondo potrà essere libero dalla tirannia della paura, nessuno dovrà mai sapere cosa è successo qui, oggi. –
Il comandante dei crociati d’argento annuì, quindi calò l’elmo sulla testa martoriata dalle ustioni e dalle torture inflitte da Arthas del suo vecchio amico che, intanto, si era fatto strada tra i Templari Neri e lo aveva raggiunto.
Il terreno tremò quando l’elmo incanalò il proprio potere nel suo nuovo padrone.  I combattenti del Consiglio si allontanarono, mentre riflessi fiammeggianti presero a lasciare gli occhi di quello che un tempo era Bolvar e che stava diventando qualcos’altro.  La gemma incastonata al centro dell’elmo, sorpra la fronte, passò dal blu intenso ad un arancione acceso.
- Dirai solo che il Re dei Lich è morto e che Bolvar Fondragon è morto con lui. - la voce era cambiata, una cacofonia di voci che si sovrapponevano, proprio come accadeva quando parlava Arthas, prima di essere sconfitto.  Voltatosi salì nuovamente gli saloni che protavano al trono e vi prese posto.  Il ghiaccio tornò a formarsi, salendo dai piedi, sulle gambe, via via ricompendolo completamente, in una minacciosa scultura immobile, ad eccezione del sinistro caldo bagliore che emanavano i suoi occhi.
- Ora andate, abbandonate questo posto e non fate mai più ritorno. –

* * *

La morte del Re dei Lich fu devastante per le sue forze che, prive della volontà che le teneva insieme, così come della maggior parte dei suoi generali, vennero falciate dagli eserciti di Azeroth rapidamente.  Tirion e i Templari Neri, lasciarono Icecrown dalla porta principale, incontrando Brazgul e Devon che, a capo della punta di diamante che aveva sfondato l’ingresso della cittadella, avevano piazzato una trincea nella grande sala che dava nel primo piano della struttura, evidentemente aspettandosi una maggiore resistenza che, però, non si presentò.
Con loro, il gruppo dei Templari Neri che si era diretto dalla Passasogni.  Quando Nadìr, July e tutti gli altri videro sbucare dal nulla i loro compagni, malonci, ma sulle proprie gambe, ignorando gli ordini ricevuti, superarono la prima linea e gli andarono incontro.
Poi solo gioia, poi solo pace.
Le forze alleate, seguendo gli ordini di Masters, riflesso delle indicazioni di Tirion Fordring, come una marea che si ritirò, lasciarono le lande ghiacciate di Icecrown, ritornando alla fortezza di Terramare, nei Fiordi Urlanti.  I festeggiamenti durarono una settimana, quindi, un pezzo alla volta, le navi che componevano la fortezza, si separarono e presero il mare e col favore dei Venti Gemelli, lasciarono le Northerend per fare ritorno a casa.

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