Autore Topic: Figli dell'ultima alba XXXVI - Capitolo 27: Un'ultima meta  (Letto 1045 volte)

Sceiren

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Figli dell'ultima alba XXXVI - Capitolo 27: Un'ultima meta
« il: Agosto 05, 2015, 01:27:12 pm »
27
Un’ultima meta

I lamenti dei moribondi erano raccapriccianti nella loro varietà: da acuti e strazianti a prolungati rantoli profondi, da sospiri affaticati e serrati a lancinanti grida a cui seguiva un terribile silenzio. 
Roredrix si grattava nervosamente la barba incolta seguendo Lùce ed evitando di sbirciare nelle tende che si susseguivano ai lati dell’improvvisato sentiero che, zigzagando, si allungava nella settore del campo dedicato all’infermeria.
Il guerriero aveva affrontato minacce terribili e non si era mai tirato indietro di fronte ai nemici più cruenti e letali, tuttavia non amava, anzi, detestava, odiava, ospedali, ospizi, infermerie e, soprattutto, non riusciva a controllarsi in ospedali da campo dove, lo sapeva bene, si entrava feriti e di solito si usciva seppelliti.  Così, riluttante come non mai, aveva accettato di seguire Lùce in quel luogo solo perché non aveva avuto scelta: lasciarla sola ora che aveva più bisogno di lui non era contemplabile e soprattutto, andava a trovare un membro del suo gruppo, un’amica che rischiava la vita in quel posto.
Così si concentrava sui suoi passi, trincerandosi dietro il suo sguardo più truce, ma a disagio come raramente si era sentito.
Lùce, dal canto suo, faceva strada al guerriero, a Wintate e Kimmolauz, preoccupato per la sua mentore ed a Bryger, un vulcano sul punto di eruttare, torvo in viso, e pericolosamente silenzioso.
Dalle tende, un via vai di guaritrici nei loro caratteristici sai scuri, macchiati di sangue rappreso e sudore.
Raggiunta una tenda uguale alle altre, la sacerdotessa si fermò.
- E’ questa. Non c’è solo lei qui e comunque ha bisogno di riposo, quindi abbiate rispetto. –
Quindi sollevato un telo che copriva l’ingresso entrò, seguita dagli altri.
L’aria era umida e satura di odori non definibili, poco chiari, comunque inquietanti. Dal dolce al pungente, in un miscuglio che si appiccicava addosso.  Alcuni malati erano sdraiati uno accanto all’altro.  Il primo, un massiccio e corpulento guerriero, era immobile. Aveva gli occhi spalancati e vitrei, fissi verso l’alto.  La bocca appena socchiusa, il respiro corto. Il viso, il collo e quanto si intravedeva delle spalle erano madide di sudore.  Un lenzuolo lo copriva, celando l’orrore: non aveva le gambe.  Chiazze nocciola all’altezza dei moncherini, segno della recente amputazione.  Una anziana guaritrice, avvolta nel saio marrone scuro che caratterizzava la sua figura, era seduta su uno sgabello alla sinistra del moribondo e stava strizzando una pezza appena immersa in una bacinella d’acqua.  Kim valutò che probabilmente la temperatura di quell’acqua di poco si discostava da quella della fronte del soldato e che sarebbe stato più utile cambiarla, magari attingendo alla neve che, a macchie di leopardo, punteggiava il campo.
Accanto al soldato una donna.  Sembrava una civile, nulla faceva pensare dal suo aspetto che fosse qualcosa di diverso da questo.  Era legata, letteralmente, le braccia lungo il corpo e le gambe tenute rigide con lacci di cuoio.  Poco sopra le caviglie, una tavoletta, per tenerle distanziate una ventina di centimetri.  Anche lei, come il suo vicino, era coperta da un lenzuolo, ma più corto, che le copriva da sopra il ginocchio al petto.  Scuoteva la testa a destra e sinistra con gli occhi chiusi, serrati, lamentandosi continuamente, con profondi rantoli gutturali.  Anche qui, alla sua sinistra, una guaritrice.
Il terzo e il quarto giaciglio erano vuoti, ma se il primo dei due era rifatto, il secondo era ancora sfatto e presentava tracce evidenti di sangue ed altri fluidi corporei. 
Infine, accudita da Ilaria e Selune, il giaciglio di Whitescar. 
La paladina era stata spogliata della sua armatura, indossava una leggera maglia bianca che traspariva dalla coperta con le effigie dei Templari Neri.   Il viso o, almeno, metà di esso, era bendato, mentre l’altra metà era pallida come la neve di fuori.  Teneva l’occhio libero dalle bende serrato e le labbra appena visibili, per quanto strette.  Soffriva.
Selune, in piedi, con le braccia incrociate, la fissava grave, mentre Ilaria, in ginocchio, le sussurrava parole dolci con tono suadente, ponendole la mano sulla fronte, asciugandole il sudore e pregando per lei.
Bryger si passò una mano nella lunga barba, quindi si avvicinò al giaciglio.  Ilaria, vedendo il nano avvicinarsi, sorrise stanca, quindi annuendo si alzò, ringraziò il Creatore, e uscì dalla tenda, seguita da Lùce.
- Ragazza, che scherzi sono questi? – brontolò il nano sollevando di poco la coperta per valutare le ferite anche non visibili.  Pareva nulla di serio, salvo il viso.
Whitescar arrestò per un attimo il respiro affannoso, quindi aprì l’occhio sano e lo ruotò fino a quando non incontrò gli occhi intensi del nano.
- Ecco, brava, non svenire per la vicinanza ad un nano tanto bello adesso, o dovrò curarti io… -
La paladina accennò ad un sorriso.
- Rimettiti in piedi in fretta, non posso gestire quella marmaglia di novellini senza di te, lo sai. E poi ci vogliono tutti tra poco, non vorrai perderti lo spettacolo? –
- Abbiamo… abbiamo… vinto? – biascicò agitandosi.
Selune lanciò un’occhiataccia al nano che, però, di spalle, non la colse, non che avrebbe fatto differenza se l’avesse colta, naturalmente.
- Naturale! Pensi che siamo qui per giocare? Siamo stati grandiosi! Una vittoria che racconteremo alla prossima generazione di Templari, vedrai. –
Roredrix si sentì gli occhi bruciare.  Non tollerava, non concepiva e non era in grado di sopportare la lunga agonia.  Così salutò con un cenno del capo la paladina e lasciò la tenda, afferrò una fiaschetta dalla cintura, e tirò giù una bella sorsata di birra. Quindi si asciugò con braccio e si calmò.
- Pare non sia in pericolo di vita, Rore. – la voce gentile di Ilaria era da sempre una panacea per lui, quasi come quella di Lùce.
- Era conciata male, ma ovvio che si riprenderà. – e bevve ancora.
Ilaria sorrise, si accarezzò la treccia bionda per poi accarezzare la guancia ispida del guerriero.
- Non è colpa tua. –
- E’ sempre colpa mia quando qualcosa va storto, Ilaria, era mio il compito di tenere quei maledetti cavalieri lontani da voi, mio e degli altri, ma sono stato sopraffatto.  Non ero pronto. –
- Hai fatto quanto in tuo potere, Rore, ma siamo in guerra qui, non siamo di fronte ad una delle nostre missioni o contro un nemico che conosciamo. Siamo in guerra.  E in guerra la gente muore, dobbiamo ringraziare il Creatore che così non sia stato, invece che affliggerci perché non siamo stati in grado di controllare l’imprevedibile. –
- Sarà… quando si rimetterà in piedi? –
- Qualche settimana. –
- Qualche settimana… -
Selune, seguito da Bryger, uscì dalla tenda.
- Mi chiedo perché non ci siano più preti? Insomma, vecchie che a stento si reggono in piedi per curare i nostri guerrieri, quando là fuori ci sono preti, paladini, sciamani e chissà quanti altri in grado di curare cento volte meglio di loro. Ridicolo. –
Bryger andava davanti e indietro,  nervoso, una furia.
- Purtroppo, Bryger, non ci sono abbastanza sacerdoti per i feriti, mentre i volontari e i curatori sono di più.  Alcune ferite non guariscono con la semplice preghiera, dovresti saperlo, necessitano di cure, cure naturali, fisiche, di questo mondo. –
- Stronzate! Ora, andate senza di me, qui ho del lavoro da fare. – e dopo aver sputato a terra, tornò nella tenda.
- Dobbiamo andare. – tagliò corto Selune.
- Forse ha ragione lui… - Ilaria fissava l’entrata della tenda ospedale con gli occhi lucidi. – Forse stiamo nuovamente dimenticando il nostro compito… -
- Il tuo compito, Ilaria, è dare supporto alla nostra confraternita.  La guerra non è finita e se vuoi davvero fare la differenza, non è questo il luogo e lo sai.  Ci hanno convocato e sei un ufficiale. A differenza di Bryger, tu non hai scelta. –
- Devo andare. –
- Devi andare. –
Lùce uscì poco dopo.
- Bryger ed io resteremo qui.  Sta provando a stabilizzare la donna, poi proverà con il guerriero.  Io veglierò su Whitescar, voi andate. –
- Che la luce ti accompagni, sorella. – disse Ilaria ricacciando il nodo alla gola.
- Che la luce accompagni te, sorella mia. –
Selune salutò con un cenno del capo, quindi voltate le spalle alle sacerdotesse, si incamminò al luogo dell’incontro.
Roredrix, lasciato uno sforzato sorriso alla sua amata, si voltò per seguirlo.  Lasciò correre lo sguardo ai lati del sentiero e quasi si sentì mancare quando realizzò che la scia di acqua e sangue che si mescolavano in una fluido come una sinistra tempera sulla tavolozza di un dottore pazzo e sadico, proveniva dalla tenda della sua compagna di mille avventure.
- Il sangue annaffia sempre la terra dopo una battaglia, lo sai. – si disse alzando gli occhi alle spalle del paladino quasi perso nel via vai di soldati e guaritori.
- Andiamo, Rore, abbiamo un compito da svolgere. – disse Ilaria prendendolo dolcemente sotto braccio.
- Un compito da svolgere… - ripetè senza convinzione il guerriero e, al fianco della sacerdotessa, riprese la via.

* * *

Un piccolo mulino era stato inglobato nella gigantesca tendopoli nata fuori il forte di Guardiainverno.  Era stato scelto quel luogo o, meglio, l’area antistante, per la comunicazione alle forze alleate. Sul tetto era stata ricavata una sorta di piattaforma sulla quale era stata sistemata passerella che dava sulla folla di soldati di ogni razza e fazione, richiamati dal Generale Masters.  Tutti dovevano sentire e per coloro che non avrebbero potuto assistere, il messaggio sarebbe dovuto arrivare loro di bocca in bocca più rapidamente possibile.
- Sei davvero sicuro di voler dare l’annuncio in questo modo? Non crederai che la prenderanno bene… - Luther si appoggiò alla macina del mulino ansimando.
- Forse ha ragione lui., gli fece eco l’ammiraglio McRonin, come puoi dire loro la verità? –
L’ammiraglio Masters sistemò un bottone che non voleva proprio allinearsi agli altri, torcendolo nell’asola con fastidio.
- La verità è un concetto astratto: conta solo come presentarla. –
- La verità è il mimino che dobbiamo a questi uomini. – disse il paladino incrociando le braccia sul petto.
- E poi, non si torna indietro, non senza la vittoria, ad ogni costo. Sul mio sangue. – ruggì Brazgul.
- Dico che è l’ora. –
- Lo dico anch’io. – confermò il generale al non-morto.
- Togliamoci il dente. – sussurrò asciugandosi il sudore l’ammiraglio.
Uno dopo l’altro, i condottieri delle forze alleate salirono le scale che portavano dalla macina alla mansarda e da lì all’improvvisato palco.  Non appena uscirono all’aperto, vennero accolti da un boato di applausi, urla,  sibili e suoni incomprensibili, miscelati in un vortice caotico poderoso.
- Spero che tu sappia cosa stai facendo. – lo apostrofò l’ammiraglio McRonin fissando la marea di orchi, non-morti, incredibilmente al fianco di elfi del sangue, nani, uomini, elfi della luna e gnomi poco più in basso.
- Lo spero anche io… - quindi si schiarì la voce ed avanzò verso il corrimano, quindi, alzate la braccia chiese il silenzio che subito sostituì le grida.  Infine, lanciò un’occhiata all’evocatore al seguito di Sylvanas il quale, formulato un breve incantesimo, annuì al generale a sua volta.
- Soldati dei Regni dell’Est e di Kalimdor!, tuonò con la voce amplificata dalla magia, Maghi, stregoni, evocatori e sciamani! Paladini, sacerdoti, druidi! Incursori, guastatori, logisti! Esercito del Consiglio! Alfieri dei popoli liberi, onore a voi! –
Una nuova ovazione scosse la piana di Guardiainverno.
- Abbiamo affrontato le insidie dei mari ed abbiamo attraversato le lande ghiacciate per la più grande operazione militari che Azeroth ricordi ed ora, insieme, nemici di un tempo, siamo qui, con la vittoria alle spalle e la cittadella del nemico abbattuta! Come comandante in capo delle operazioni, non posso che rendere omaggio a voi ed a coloro che sono caduti per permetterci di raggiungere lo scopo.  Noi tutti, compagni d’armi, siamo il risultato di un’utopia resa possibile dal desiderio di rivalsa, scaturito dall’attacco del Re Traditore alle nostre città, alle nostre famiglie, ai nostri averi.  Siamo qui, a vario titolo, con motivazioni diverse sia eticamente che concretamente, tuttavia qui siamo uniti, qui siamo insieme e qui siamo oggi vincitori! - con le mani quietò sul nascere la nuova ovazione; poi si voltò a destra e sinistra incrociando lo sguardo impassibile di Luther e quello teso, ma risoluto, dell’ammiraglio McRonin.
- Io, noi, abbiamo voluto questo incontro con voi tutti, non passando per la usuale catena di comando, perché abbiamo ritenuto importante che quanto ho da dire raggiungesse il cuore di questa armata direttamente, senza intermediari, senza interpretazioni, affinchè neppure per errore le mie parole potessero essere fraintese. – afferrò la passerella sporgendosi verso la folla silenziosa.
- Quanto sto per dirvi è stato coperto da segreto e pertanto in questo preciso momento ho deciso di rendervi partecipi di informazioni fino a ieri riservate non perché oggi non lo siano più, ma perché oggi più che mai voglio che sia chiaro che il soldato come l’ufficiale, il comandante come l’ultimo della confraternita, in questo esercito, sono parte identica della stessa realtà, stesso peso, stessa fondamentale rilevanza.  Siamo ruote di un ingranaggio che per continuare muoversi, dovrà essere tutto perfettamente funzionante, dalla ruota più piccola, alla più grande.  Così, oggi, senza timore delle conseguenze, ho scelto, abbiamo scelto, di condividere tutto questo con coloro che stanno rendendo possibile il nostro intento. – Si schiarì la voce.
- Il vile attacco del Re Traditore ha spinto il Consiglio riunito a muovere contro di lui con un piano strutturato su due aspetti: obbligarlo a destinare le proprie forze militari in una direzione, da un lato, colpirlo con un arma diretta contro di lui, in un altro. Questo è quello che noi abbiamo chiamato semplicemente “il Progetto”.  Questo esercito ha avuto il compito di affrontare i suoi generali sul campo, bloccando la fortezza di Naxxramas su Dracombra, impedendole di teleportarsi ad Ice Crown dove, una truppa di elite al comando di Saurfang il giovane e Bolvar Fondragon avrebbe attivato un potente artefatto magico capace di incatenare per sempre il Re dei Lich.  Ad Est, le nostre forze hanno marciato vittoriose su Naxxramas, ad Ovest, il Progetto ha funzionato solo parzialmente: l’incanto ha ferito gravemente il Re Traditore, pur tuttavia non finendolo.  Le truppe al seguito dei nostri generali sono cadute con onore e, in questo momento, di fronte a voi, voglio ricordare ogni combattente, curatore e generale che ha versato il proprio sangue nel nome del Consiglio e, quindi, nel nome dei nostri popoli tutti. –
Un brusio crescente iniziò a serpeggiare tra le schiere alleate: non era chiaro come prendere la notizia, ma di certo non era quanto speravano di sentire.
- Come immagino, vi starete interrogando su cosa questo implichi sulla missione. Se questo parziale successo pesi più o meno sul parziale fallimento dell’operazione. Se, in buona sostanza, quanto fatto qui non sia servito a nulla, considerato quanto non realizzato a Ovest.  La risposta è semplice: non è cambiato nulla!  Siamo qui per abbattere la minaccia e se il piano principale è riuscito solo in parte, siamo qui per completare l’opera.  Arthas, ferito, è ancora una minaccia? Noi lo puniremo, abbattendolo, radendo al suolo la sua fortezza se necessario.  I nostri capi, i nostri re, ci hanno mandato qui con uno scopo e quello scopo era di ridurre in cenere le truppe del nemico a Dracombra mentre il nemico sarebbe stato gestito da un manipolo di coraggiosi; bene, noi proseguiremo dove loro hanno lasciato.  Raggiungeremo Icecrown, sfonderemo i cancelli, strapperemo la testa dal collo del nemico e vendicheremo le nostre terre! Siamo l’esercito delle forze alleate del Consiglio dei popoli liberi o un gruppo di pecore? –  Un ruggito esplose dalle retrovie, amplificandosi e potenziandosi mano a mano che raggiungeva le prime file.
- Siamo la macchina da guerra più letale che abbia mai solcato i mari o calpestato la terra? – la grinta e la rabbia esplose ancora più fragorosa.
- E’ questo che siamo! Uniti, insieme e abbiamo una missione da compiere! Permettetemi, compagni d’armi, una mia riflessione personale.  Fino a ieri, siamo stati solo un diversivo, siamo stati mandati qui per indebolire le sue forze e tenerlo occupato.  Come parte del piano, naturalmente, sono orgoglioso di avervi condotto in questa manovra, ma se guardo al domani, invece, se penso che da oggi, da questo preciso momento, saremo noi e noi soltanto la punta di diamante che si scaglierà contro il nemico, se mi soffermo anche solo a pensare che al ritorno in patria non saremo solo coloro che avranno fatto la loro parte, ma saremo quelli che avranno abbattuto il nemico, ecco, se penso a tutto questo, mi sento il petto gonfio d’orgoglio! Ora più che mai!, non sarò solo uno di coloro che avranno combattuto, sarò uno di quelli che avranno affrontato Arthas nella sua Cittadella! Sarò ricordato con onore e potrò raccontare ai miei figli quella che per sempre sarà ricordata come la più gloriosa battaglia di tutti i tempi! –
- Per il Consiglio! – gridò Devin alzando la spada sguainata verso il cielo.
- Per il Consiglio!! – tuonò la piana.
- Per il Consiglio! – ruggì Brazgul più volte, anche in orchesco, seguito da un boato senza precedenti.
- Ufficiali! Preparatevi a muovere! Destinazione: Icecrown! – concluse il Generale Masters salutando la folla, prima di voltarsi e scendere nella sala della macina, mente, proprio come un a tempesta, la folla galvanizzata, continuava a gridare il proprio entusiasmo.

* * *

Il generale scese i gradini uno ad uno, tremante.  Le ginocchia a stento lo reggevano.  Non poteva farsi vedere in quello stato o qualcuno si sarebbe potuto insospettire.  Ottenuto il sostengo dell’esercito, ora il carico di tensione accumulato lo stava piegando.  Si appoggiò alla pietra circolare che occupava gran parte della stanza della macina e si asciugò il sudore.  Aveva fatto quanto riteneva giusto e quanto era necessario. Aveva fatto quanto tutti si aspettavano da lui.  Non poteva tornare indietro ora e sapeva che, al di là dell’esito di quella campagna che ora si muoveva senza più l’assenso dei regnanti del sud, il suo fato era segnato. 
Si passò una mano sul viso e cercò di riprendere il controllo.
Doveva fare i conti con quello che era diventato in fretta, prima che il suo stato compromettesse la missione.  Masters alzò gli occhi alla macina e si socchiuse in fessure minacciose.  Calmò il respiro e si drizzò come un fuso.
Era il generale che avrebbe marciato su Icecrown, poco importava se fosse anche un disertore, almeno non aveva importanza fino al suo ritorno e, soprattutto se avesse avuto successo.
Sapeva che uccidere Arthas non avrebbe posto fine al Lich King che, semplicemente, avrebbe scelto un nuovo simulacro, tuttavia avrebbe fatto guadagnare tempo, anni, forse decenni, tempo utile a riorganizzarsi e scegliere la linea da seguire. E comunque, giusta o sbagliata che fosse, non vi era altra scelta ormai.  Il Progetto compromesso non dava altra via d’uscita se non lo scontro diretto.
Inspirò rumorosamente e si voltò risoluto come non mai quando incrociò lo sguardo degli altri alti ufficiali delle forze alleate che, a loro volta, avevano lasciato il tetto per mulino.

* * *

 Il vento gelido sferzava le distese ghiacciate di Dracombra, sollevando mulinelli di neve sottile come sabbia del deserto di Tanaris in una infinita moltitudine.  I raggi del sole a stento penetravano le pesanti nubi grigie che da settimane li accompagnavano ed anche se i canti e i suoni tipici delle truppe vittoriose non si interrompevano praticamente mai, neppure nelle notti più gelide, quel grigio immobile le ottenebrava il cuore.  Non era stata più la stessa cosa, da quel giorno, non era stata più la stessa.
Non si era opposta agli ordini di Selune quando quest’ultimo le aveva chiesto di restare a riposo, lontano dai suoi incarichi coi novizi e soprattutto dai suoi compiti in seno alla gilda. Non aveva battuto ciglio: anzi, quasi ne era contenta e sollevata.
Non era da lei.
Whitescar si portò una mano al viso e sfiorò le bende che le coprivano il lato sinistro.  Si era rimessa in piedi rapidamente, grazie alle cure e le attenzioni di July, Ilaria e Bryger e di certo doveva ringraziare loro tre se non aveva perso l’occhio, almeno, così le avevano ripetuto con una punta di stizza le guaritrici che si erano alternate al suo capezzale.  Quello che doveva fare era solo togliere quella benda per completare la sua guarigione.  Poteva farlo in ogni momento, così le aveva detto Bryger, ma solo quando se la sarebbe sentita, aveva aggiunto Ilaria.
Poco rassicurante.
Aveva detto che sarebbe andata a caccia con i cacciatori, aveva voglia di stare da sola. Era certa che Erebus aveva capito che la caccia era lontana dai suoi propositi ed infatti le aveva dato il consenso senza chiedere o assegnarle un compagno, così si era allontanata abbastanza dal campo dell’esercito e dai suoi rumori.
Solo in vento nelle orecchie, il freddo nelle ossa e quel cielo tetro sulla testa.
La paladina strinse il medaglione che aveva al collo e tra le labbra iniziò a pregare, mentre si avvicinava, avvolta nel suo pesante mantello invernale, ad ossa gigantesche che, fuoriuscendo in parte dalla neve, formavano una sinistra composizione architettonica.  Forse di drago, forse di mammut, non era facile capirlo da quella distanza, soprattutto considerato che vedeva solo da un occhio, al momento.
La paladina continuò a salmodiare, mentre, non senza fatica si avvicinava ai resti del gigantesco animale.
Raggiunte le ossa, si ritrovò a guardare verso l’altro dal centro della carcassa, con curiosità e, individuate lunghe ed acuminate protuberanze che dalle scapole si allungavano verso l’alto, fu chiaro che si trattava davvero dei resti mortali di un drago.
Doveva essere enorme.
Whitescar si appoggiò alle ossa e rivolse l’attenzione alla pozza d’acqua sicuramente gelida poco più in là.
Andava bene.
Sarebbe bastata per il suo scopo.
Lasciò cadere a terra lo zaino e si avvicinò, quindi afferrò la stuoia, che portava sempre con sé, e l’adagiò di fronte allo specchio d’acqua.  Si mise a sedere.
L’ululato del vento non si placava e la neve continuava a cadere.
Si portò le mani dietro la testa e slegò il nodo che teneva salda la benda, quindi la sfilò lentamente, dipanandola con una delicatezza maniacale, coi denti serrati, pronta a far fronte ad una improvvisa fitta di dolore che, però, tardava ad arrivare.  Infine, l’ultimo brandello cadde, non più tenuto su dalla medicazione.  Una medicazione quadrata le copriva ancora l’occhio, ma già qualcosa riuscì a scorgerla: era un solco violaceo, dai contorni rossi che spuntava di qualche sopra e sotto la medicazione.
Si sentì il fiato corto. Sapeva che l’occhio era salvo però, doveva concentrarsi su questo.  Mandò giù, ricacciando il senso di nausea, quindi, con la mano tremante, afferrò tra indice e pollice la medicazione e la lasciò cadere.
Aveva gli occhi serrata, aveva paura di aprirli e vedere quanto la benda aveva celati fino a quel giorno.  Si strinse il medaglione con la destra e la gamba con la sinistra, aveva il collo sudato.  Lentamente, iniziò a aprire gli occhi, entrambi.  La luce fu abbagliante.  Si portò istintivamente la mani sul viso e fu allora che sentì la protuberanza della ferita. Rimase impietrita. Sentiva quel rigonfiamento tra le dita, sul palmo della mano.  Prima e dopo l’occhio.  Gemette.
Attese che la luce scemasse o, per essere più precisi, che l’occhio si riabituasse ad essa. Certo, togliere la medicazione in una landa ghiacciata non era il massimo della prudenza.   Si piegò verso la pozza, quindi scostò lentamente le mani dal viso, tenendo chiuso l’occhio medicato ed aprendo quello sano. 
Si guardò nel riflesso ondeggiante della pozzanghera in silenzio.  La cicatrice era ancora gonfia, ma in via di guarigione. Partiva da sopra il sopracciglio e scendeva fino allo zigomo, per poi piegare verso la mandibola.  Un miracolo se ancora riusciva a parlare, pensò.  L’occhio non era stato risparmiato, lo sapeva, altrimenti curatori del calibro dei suoi compagni non avrebbero perso giornate a curarla.  Bryger aveva detto che il fastidio sarebbe durato poco e che prima lo avrebbe affrontato e prima avrebbe ripreso a vedere normalmente.
Strinse fino a farsi male il medaglione, quindi, lentamente, aprì anche il secondo occhio.
La sclera era ancora intrisa di sangue e laddove non era percorsa da grossi capillari scuri era bluastra.  Inquietante.  Ma quello che le strappò un singhiozzo fu l’iride: persino l’iride presentava uno squarcio verticale, un cicatrice.  Quella, lo sapeva, non sarebbe andata più via.
Si alzò in piedi in lacrime, si voltò a destra e sinistra, quindi si riguardò nella pozza.  Nonostante tutto, vedeva, al di là del bruciore, al di là della ferita.
Whitescar pianse, pianse accorata, al sicuro da occhi ed orecchie indiscrete, sola.  Non era pronta per quello, non era preparata.  Cosa avrebbe detto suo marito? Come l’avrebbe accolta a casa ora che era un mostro?
Pianse, pianse disperata, incurante della neve che le sferzava il viso, con un peso nel cuore che, almeno in quel momento, era certa l’avrebbe schiacciata.

« Ultima modifica: Agosto 05, 2015, 02:19:28 pm da sceiren »

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren