Autore Topic: Figli dell'Ultima Alba XVIII - Cap. 13: Terra per tutti (prima parte)  (Letto 1137 volte)

Sceiren

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  • Chi sono dei due? :D
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Sono passati mesi da quando ho scritto l'ultimo capitolo, ma tra lavoro ed altro non trovavo modo e maniera, nonchè la giusta atmosfera per procedere. 

Comunque, scusandomi del ritardo, ecco il prossimo!  Facciamo la conoscenza di molti Templari Neri illustri !!! Chi sono? Non vi resta che leggere!

Buona lettura e, spero, buon divertimento!


13
Terra per tutti


Da quando aveva messo piede alla fortezza di Valliance non aveva fatto altro che mangiare, dormire e passare il tempo sdraiata su quel tetto, sotto gli sguardi lanciati di sottecchi da quella gente di sotto che, frenetica come una manciata di formiche, sgusciava rapida da una casa per entrare in un’altra.   Che spreco di tempo!  Del resto era indubbio che la vita era lunga e che per lavorare, servire nelle forze militari oppure semplicemente pregare i propri Dei di tempo ce ne era decisamente ancora parecchio all’orizzonte, mentre quello restante allo spettacolo che contemplava ammirata da un paio di giorni invece no.
Incurante dell’ennesima occhiataccia, si mise in piedi ben attenta a non perdere l’equilibrio, si guardò a destra e a sinistra, come se cercasse di sfuggire all’attenzione di un possibile osservatore scomodo, ed afferrò un’asta di legno di ciliegio dallo zaino.  Ancora un’occhiata alla gente che passava qualche metro più in basso e ormai consapevole che tanto, in un modo o nell’altro, qualcuno l’avrebbe vista da lì a poco fare quello che aveva in mente, considerato lo spettacolo, decise beatamente di fregarsene dei giudizi o, soprattutto, delle eventuali conseguenze del suo gesto e senza perdere altro tempo issò l’asta poco più corta di lei verso il cielo, pronunciò la parola magica, e la conficcò tra le tegole del tetto.  L’asta rimase inerte per qualche secondo, poi si allungò, raggiungendo un’altezza pari al triplo di poco prima e dall’estremità si aprì come un fiore in un ampio ombrellone rosato. 
Un paio di soldati si avvicinarono col naso all’insù puntando quell’insolito spettacolo, ma non essendo nuovi di quelle terre, avevano ormai imparato che quanto più una cosa era strana, quanto più era meglio lasciar perdere e così, appurato che ombrellone e paffuta proprietaria non sembravano essere una minaccia per la cittadella, scuotendo il capo si rimisero in marcia.
La gnoma annuì soddisfatta: aveva calcolato bene il cono d’ombra rilasciato dall’ombrellone e il sole ora non disturbava più la vista.  Afferrato così dal paniere comparso per magia uno spiedino di frutta, tornò a sdraiarsi ed a mirare lo spettacolo che tanto amava e tra un morso e l’altro realizzò che era bello essere pagata per ammirare la natura… del resto stava solo ubbidendo agli ordini: “resta qui e aspetta”, le avevano detto e se per la seconda parte dell’ordine non vi era dubbio che stesse ampliamente ottemperando, per la prima aveva semplicemente spostato il qui di qualche metro dal suolo.

* * *

Le mani si erano come rinsecchite nel corso delle ultime settimane ed ora, quasi scarnificate e più simili a quelle di un cadavere che non di un vivente, tremavano incontrollatamente mentre cercava di compiere quel semplice gesto: chiudere il suo breviario.
Si concentrò, trattenne il respiro, per riprendere ad inspirare ed espirare, cercando di riacquistare la concentrazione, recuperare un briciolo di consapevolezza, un brandello di memoria su dove si trovasse.   La vista non l’aiutava: vedeva tutto bianco; l’olfatto men che meno: sentiva solo il tanfo proprio dello zolfo; l’udito era inutile: i gemini, i singhiozzi e i sinistri squittii che avvertiva come una cacofonia di eco lontane la confondeva invece che aiutarla nella sua ricerca.   Sentì il panico crescere nel petto, quel panico che di solito era la sua arma vincente, ma solo quando era lei a scatenarlo… ora invece stava assaporando la medicina che troppo spesso impiegava per piegare le volontà più restie a cedere ai suoi ordini.
Si afferrò il polso della mano destra con la sinistra e facendo forza riuscì a controllare il tremito, quindi con la mano più salda chiuse il taccuino appoggiato al centro del pentacolo che in uno sbuffo si dissolse immediatamente lasciando un’ombra di sangue rappreso sulle tavole di legno del pavimento.   Come se la realtà le colasse letteralmente di fronte agli occhi, nel mare bianco in cui era naufragata poco prima, alcune ombre di delinearono, prendendo le forme di un comò, di un letto, di una parete, di una finestra.   La puzza di zolfo che le riempiva le narici, si stava miscelando con la dolciastra e nauseabonda puzza di sangue bruciato, misto a legna riarsa, una mistura che le dette il voltastomaco.  I conati la piegarono in due. 
Travolta dal disgusto si alzò goffamente e perdendo l’equilibrio nel tentativo arretrò di uno, due passi, fino a incespicare nelle lenzuola del letto della sua cabina.   Cadde rovinosamente di schiena, ed una fitta lancinante le percorse la spina dorsale. Il dolore improvviso misto allo sforzo fisico compiuto per alzarsi la travolse.   La cabina prese a girare in turbinio di forme indefinite e mentre i conati la scuotevano ripetutamente, lentamente, le grida inumane e i sussurri ansimanti che avvertiva cedettero il posto al crepitio delle cime e delle tavole, tipiche della nave dalla quale da settimane ormai non scendeva.

* * *

Erano in mare da quasi un mese e da quasi un mese pregava di essere degna della missione assegnatale.  Il piccolo altare che aveva eretto al centro del ponte era meta quotidiana per lei, certo, ma anche per gli altri fratelli che con lei stavano intraprendendo quel viaggio.  La loro missione era santa e se il loro compito era quello di completare il disegno del Creatore, la sua era quella di permettere che i suoi protetti riuscissero.   La paladina fissò il piccolo altare e si inginocchiò posando l’elmo a terra.  Non aveva mai tolto le sue vestigia di zaffiro neppure per un istante, nonostante le raccomandazioni del comandante della nave: non temeva la morte, non temeva di affogare perché quelle vestigia erano forgiate nella fede e riflettevano la potenza stessa del Creatore.   La brezza marina le scosse i lunghi capelli biondi e la piacevole sensazione avvertita, le strappò un sorriso e la distrasse dalle sue preghiere mattutine.   La Paladina pensò che non si confaceva ad una guerriera della fede quella di interrompere i suoi obblighi nei confronti del Creatore per un così futile motivo, ma poi convenne che forse era da settimane che non si sentiva così bene e che probabilmente quella brezza così dolce altro non era che l’alito stesso del suo Dio che le ricordava quanto benevolo potesse essere, anche a centinaia di leghe dalla sua amata Chiesa.
Invece di combatterlo per tornare alla sua consueta e stoica espressione concentrata, la paladina si lasciò travolgere da quella benevola sensazione e si abbandonò ad una risata cristallina, raccolse l’elmo e si alzò in piedi, splendida nella sua armatura azzurra come i suoi occhi che riluceva del primo sole del mattino.   Fu allora che avvertì la vedetta gridare “terra!” e in quel preciso istante comprese che la sua intuizione era fondata: la gioia che provava scaturiva senza dubbio dal Creatore che le concedeva un ultimo dono prima di richiederle il suo impegno.   

* * *

Il vantaggio e lo svantaggio sono due lati della stessa moneta: ciò che in alcune occasioni può rappresentare un vantaggio, si trasforma inevitabilmente in una debolezza in circostanze diametralmente opposte. Lo sapeva l’elfa della notte che, appostata da giorni, continuava la sua missione di raccolta informazioni e spionaggio.  I suoi occhi rilucenti che le permettevano di vedere nella notte come se la luna piena fosse alta in un cielo senza nubi, potevano anche tradirla e palesare la sua posizione ad osservatori attenti che sapevano cosa cercare.  Così passava il tempo a scrutare il suo bersaglio ed allo stesso tempo a celarsi ad esso, proprio per non vanificare settimane di appostamenti con un errore da principiante.   
- Ancora una nave… - sussurrò.  Senza distogliere l’attenzione dal porto, allungò una mano alla cintura e slacciò l’elaborato monocolo e se lo portò all’occhio destro, poi chiuse il sinistro ed attese che il monocolo facesse il resto.  L’immagine lontana divenne improvvisamente sfocata poi piano piano più nitida, ma ingrandita.  L’elfa, avvolta nel manto verde e grigio, per mimetizzarsi col terreno circostante, focalizzò la sua attenzione sugli stendardi di riconoscimento del vascello che lentamente lasciava i lidi orientali di Lordaeron.   
- Mmmm, sembra decisamente l’ennesimo vascello di Undercity, ma come gli altri non porta né il vessillo di Sylvanas che quello del Consiglio… quanto… una sorta di scudo nero… -
Una folata di vento improvviso le strappò il cappuccio dal capo e i suoi capelli viola vennero liberati.
La spia si chinò immediatamente dietro al crinale: si sentiva il cuore battere all’impazzata nel petto, non lo aveva previsto e gli imprevisti non le piacevano.   
Rimase in silenzio e guardinga, sfiorando con la destra uno dei due pugnali che portava sempre con sé, pronta a scattare qualora fosse stata individuata… del resto il viola non era un colore tipico di quei luoghi.  Fortunatamente la sua posizione non sembrava essere stata individuata dal vicino posto di guarda degli abbandonati, così piazzato il cappuccio al suo posto ed assicurato con maggiore attenzione, si voltò e tornò a fissare la nave che lentamente puntava verso il mare aperto.
- E con questa sono tre solo questa settimana… - tolto il monocolo, scivolò sul dorso allontanandosi dal crinale e raggiungendo la sua postazione di riposo: una serie di tre alberi cavi protetti dalla collina, da un lato, e da altri alberi più fitti dall’altro.   Afferrò da dentro uno degli alberi lo zaino da viaggio e una borraccia d’acqua e bevve un paio di sorsi mentre continuava a riflettere.   Rimise poi lo zaino al suo posto e da una crepa nella corteccia del secondo albero prese il suo taccuino dove puntualmente appuntava le sue osservazioni.  Raggiunse le ultime pagine e rilesse quanto aveva scritto:
“Quarta settimana, terzo giorno.  Alba.  Vascello militare non-morto battente bandiera sconosciuta.  Vessillo: due spade in campo rosso fuoco.  Quarta settimana sesto giorno.  Mezzodì.  Vascello commerciale non-morto sconosciuto.  Vessillo: Mazza chiodata in campo verde.   Quinta settimana, primo giorno.  Vascello commerciale sconosciuto, ma apparentemente non-morto.  Vessillo sconosciuto: Croce bianca in campo nero.   Sesta settimana, primo giorno.  Vascello militare e vascello mercantile.  Entrambi apparentemente non-morti, ma con vessillo sconosciuto: una fiamma gialla in campo rosso.”  - e poi questa: vascello militare non-morto con vessillo sconosciuto raffigurante uno scudo nero in campo bianco. – Sfogliò a ritroso le pagine del taccuino contando le osservazioni.  – Fanno diciannove navi con questa: dodici militari e sette mercantili…- 
L’elfa posò il libricino al suo posto preoccupata: mancavano ancora diverse settimane prima che la sua missione la facesse tornare all’SI:7, ciò nonostante non poteva più attendere: aveva bisogno di confrontarsi e ricevere nuovi ordini.   

* * *

L’aurora boreale era sfumata poco prima e il sole, ormai ridotto ad una mezza luna all’orizzonte, a breve sarebbe tramontato.   Aveva pensato un paio di volte nel pomeriggio di scendere, quando la brezza gelida proveniente dal nord aveva preso a spirare, ma in fin dei conti era abituata a ben di peggio e così aveva proseguito la sua piacevole attesa restando lassù, in attesa di essere convocata.
La gnoma stava per appisolarsi per l’ennesima volta, quando il clangore dell’armatura di un paio di soldati la destarono.
- Tu, lassù, re Varian ha richiesto la tua presenza! Scendi immediatamente! – disse una delle due guardie reali.  Lo stemma del leone di Stormwind e dei Wrynn spiccava dalla casacca blu cobalto che ornava il pettorale dell’armatura a piastre che indossavano.
La gnoma afferrò l’asta dell’ombrellone, che istantaneamente tornò alla condizione iniziale, e la ripose nello zaino, quindi si sistemò la sfascia nera che disciplinava i suoi capelli argentati ribelli sulla fronte e annuendo compiaciuta afferrò lo zaino, formulò un incantesimo e saltò già dal tetto.  Le due guardie rimasero interdette, non sapendo se gettarsi per afferrare la gnoma, ma poi, vedendola scendere lentamente, fluttuante nell’aria, compresero che senza dubbio non era necessario e che quella gnoma doveva essere null’altro che una maga dai costumi bizzarri.
- Seguici. -
- Naturale, rispose la gnoma, sono qui per questo. – e mentre il sole sprofondava nel mare, la maga sorrise di rimando alla sua sorella planare che appena visibile nel cielo incendiato del tramonto le ricordava sempre chi fosse e che, ovunque andasse, non era sola.   La gnoma sorrise e, come ogni sera, per riaffermarsi nel mondo, ripetè il suo nome: Seilune.

* * *


« Ultima modifica: Settembre 21, 2012, 11:25:07 pm da sceiren »

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren

Xjulia

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Re:Figli dell'Ultima Alba XVIII - Cap. 13: Terra per tutti (prima parte)
« Risposta #1 il: Ottobre 08, 2012, 06:33:04 pm »
Ciao Sceiren. bel racconto complimenti. ed è detto da uno, che di solito guarda solo le figure dei giornalini..........P.S.: Ha proposito dove le trovo le illustrazioni?? :gatto: HA HA HA!!!!!! (scherzo!!) ciao ci si sente e nel gioco ;D

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Re:Figli dell'Ultima Alba XVIII - Cap. 13: Terra per tutti (prima parte)
« Risposta #2 il: Ottobre 09, 2012, 09:32:55 am »
 :grin: :grin: :grin:

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