Autore Topic: Figli dell'Ultima Alba XLIII - Capitolo 34: Una guerra di attese  (Letto 820 volte)

Sceiren

  • GM Rising Dradis Echoes
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Figli dell'Ultima Alba XLIII - Capitolo 34: Una guerra di attese
« il: Novembre 20, 2015, 01:35:22 pm »
34
Una guerra di attese

Ilaria si arrotolò stizzita le maniche della pesante veste che indossava per fronteggiare il freddo. Le impedivano di lavorare; quindi, sorridendo al giovane paladino, riprese a lavorare di pestello, triturando sapientemente con movimenti circolare le foglie medicinali che le aveva portato l’infreddolito Dharius.
- Spero di non aver sbagliato: non vorrei che invece di aiutare possa complicare le cose. – disse a disagio.
Ilaria lasciò il pestello nella ciotola, quindi sollevò una radice biancastra e dalle mille spine.
- Questa è senza dubbio quello che mi serviva, Dharius, una radice dei ghiacci.  Non c’è dubbio. – e riprese ad armeggiare.   
Quando fu soddisfatta del risultato, estrasse delicatamente il pestello dalla ciotola, pulendone i bordi per non sprecare neppure un grammo del prezioso composto e versò il contenuto nel bricco che sbuffava vapore oramai da un paio di minuti.
Infine mescolò in senso orario fino a quando l’acqua non perse la sua trasparenza, acquisendo il colore proprio della neve.
- Mi passi per cortesia la mia borsa dell’erborista? Quella verde sul giaciglio. – Ilaria aveva lasciato ben distante dal calore la sua borsa, non voleva che i rari reagenti che aveva raccolto da quando aveva iniziato la sua missione si potessero alerare in qualche modo, seppure la temperatura fosse ben al di sotto dello zero, contribuendo a conservare le piante meglio che se fossero sottoposte a trattamenti magici.
Il ragazzo fece come richiesto e la sacerdotessa estrasse da uno degli scomparti all’interno tre trifogli dorati. 
- Sono ancora perfetti. Ottimo. – sussurrò, prima di lasciarli cadere nell’infuso.
Non appena i trifogli toccarono il liquido, il pungente profumo del trifoglio si sparse nella tenda, seguito da uno sbuffo azzurrino.  Ilaria sembrava soddisfatta.
Prese uno scolino e versò il contenuto in un’ampolla.  Il liquido era passato dal trasparente, al bianco pallido ed un azzurro intenso.
- Perfetto. – disse tappando l’ampolla.  Poi, afferrato il mantello e sollevato il cappuccio, lasciò la propria tenda e immerse nella neve la pozione.
- Non la rovinerai così? Voglio dire… Tillisha dice sempre di lasciare raffreddare naturalmente i cibi… - chiese curioso.
Ilaria sorrise.
- L’alchimia è una forma di cucina, senza dubbio, ma come la cucina ha le sue regole. – e togliendo la boccetta dalla neve ne contemplò il risultato.
- Andrebbe filtrata di nuovo, ma non c’è tempo. Seguimi. – 
Superò un paio di tende e salutò con cortesia un tauren ed un orco che incrociò lungo la via, quindi entrò nella tenda del compagno seguita da un infreddolito Dharius.
All’interno Lòre, seduto su uno sgabello, con due profonde occhiaia.  Non aveva chiuso occhio da quando il compagno era stato colto dalla febbre. Inizialmente aveva parlato con lui di qualunque cosa gli passasse per la mente, obbligandolo a seguirlo, poi, con il sorgere del sole e l’aumento, seppure minimo, della temperatura, gli aveva dato tregua.  La febbre era arrivata poco dopo, una febbre alta, molto alta.  Pericolosa. Ilaria era passata a visitarlo, non immaginando di trovarlo messo così male.  Aveva omesso di chiedere il perché delle gote così arrossate, non voleva aprire altre ferite oltre quelle già ben evidenti.  Lòre sembrava distrutto.  Era evidente alla chierica quale fosse il motivo.
- Allora, ce l’hai fatta? – chiese il mezz’elfo lasciando lo sgabello all’amica per permetterle di avvicinarsi a Sceiren.
- Certo.  Vediamo come va. – disse lentamente prendendo il polso dell’elfo.  Poi gli passò una mano sulla fronte, quindi pregò sommessamente per qualche secondo.
- Silvèr? – sussurrò agitandosi.
Ilaria si scostò una ciocca ribelle dal viso e lanciò una eloquente occhiata a Lòre.
- No, nessuna novità.  Rore ha parlato con l’ufficiale di picchetto e ancora i cacciatori non sono rientrati.  E i giorni ora sono tre, uno oltre il previsto. – sussurrò all’orecchio della guaritrice che si rabbuiò.  Quindi, nuovamente con un sereno sorriso dipinto sul viso, tornò a chinarsi su Sceiren, lo accarezzò, quindi stappata l’ampolla, sorso a sorso, fece bere l’infuso che aveva preparato al compagno. 
- Coraggio, hai bisogno di rimetterti in piedi. –
- E’… qui? – chiese ansimando.
- Quasi, mentì lei, abbiamo avuto un dispaccio. Stanno rientrando proprio adesso.  Un paio d’ore e saranno qui.  Ora riguardati. Non vorrai che ti trovi in questo stato. –
Sceiren sorrise e mandò giù l’ultimo sorso della pozione, prima di crollare in un sonno agitato.
Il volto di Ilaria si irrigidì, poi si voltò verso il giovane templare nero.
- Dharius, verifica lo stato della missione dei cacciatori ed informami non apprena avrai una qualunque notizia. –
- Sì, mia signora. – rispose il paladino, prima di lasciare la tenda.
- Cosa pensi sia successo? – chiese Lòre preoccupato.
- Nulla che il Creatore non voglia. – rispose lei, tappando l’ampolla e riprendendo a pregare, non solo per Sceiren, ma anche per coloro che mancavano all’appello.

* * *

Il generale Masters firmò gli ordini del giorno e si abbandonò alla propria poltrona.  Afferrato un dispaccio sullo stato dei rifornimenti, la sua lettura mattutina, valutò la gravità della situazione.  Ogni giorno si spingeva verso il punto di non ritorno.  Presto avrebbe dovuto decidere.  Lo sapeva bene.
Senza farsi annunciare, un uomo dagli abiti scuri e meno pesanti di quanto sarebbe servito per fronteggiare il clima, entrò nella sala. Il generale fece cenno al nuovo entrato di sedersi, ma come sempre, la spia rimase in piedi.
- Allora, che novità mi porti quest’oggi. –
L’uomo irrigidì la mascella e Masters si accigliò.
- Allora? – chiese con decisione.
- Mi ha ordinato di aggiornarla quotidianamente sulle manovre di Luther e, di recente, di fare rapporto sulle condizioni di salute dell’Ammiraglio McRonin. –
- Ebbene? Cosa combina Luther di tanto grave? – tagliò corto il generale.
- Nulla. Non è di lui che devo fare rapporto, purtroppo. –
Il generale Masters si abbandonò lentamente alla propria poltrona.
- Prosegui. – disse con un filo di voce.
- E’ peggiorato, generale. Questa notte ha rischiato l’ipotermia e il congelamento.  I guaritori lo hanno strappato per i capelli alla morte bianca, tuttavia non hanno potuto non amputargli gli arti congelati ed oramai non più recuperabili.  Ritengono non ce la farà. –
Il generale Masters annuì, quindi congedò la spia con un cenno della mano.
Da quando dopo i fatti collegati all’epidemia scatenata dalla regina del sangue, i due si erano allontanati. Salvo i consigli militari, praticamente non si parlavano più.  E non per volontà dell’ammiraglio, naturalmente.
Masters si stropicciò gli occhi improvvisamente a disagio, quindi afferrata cappa e mantello, lasciò i suoi alloggi.
Lo trovò esattamente dove i rapporti dicevano che fosse e, sfortunatamente, quesi rapporti, erano molto dettagliati e precisi anche sulle sue condizioni.  Era dimagrito, un’ombra del grassoccio e corpulento uomo che era.  Violaceo in viso con gli occhi luccicanti di una febbre persistente.  La coperta, impietosa, lo copriva scivolando laddove avrebbero dovuto esserci piede destro e gamba sinistra, ma la fasciatura macchiata di sangue introno alla mano sinistra, purtroppo, evidenziava che il supplizio per l’ammiraglio non si era concluso la notte.
Masters congedò i curatori e si sedette accanto al moribondo.
- Battere la fiacca non è consentito ad un alto ufficiale delle forze alleate, lo sai. Dovrò fare rapporto al generale. – disse serio.
L’ammiraglio mugugnò, quindi, non senza fatica, mise a fuoco l’amico.
- A chi faresti rapporto? – sibilò.
- A me medesimo, naturalmente, ma potrei mettere una parola in tuo favore. – e sorrise.
L’ammiraglio lo fissò.
- Sono messo così male? Se sei qui, sono messo male. – sussurrò sorridendo.
Il generale Masters non rispose.
- Che fine ingloriosa.  Mio nonno è affondato al comando della propria ammiraglia.  Mio padre in mare aperto, durante una esercitazione in suo onore.  Ed io.  Guardami… - concluse con un filo di voce rotto dal pianto. – Indecoroso omuncolo… sconfitto dal freddo…-
Masters si chinò per fissarlo bene negli occhi.
- Non dire sciocchezze.  Il tuo nome e le tue imprese neppure sono confrontabili con le loro: sei stato tu a dirigere la più grande flotta di tutti i tempi oltre i mari sicuri per approdare nelle Northerend e sei stato tu, al mio fianco, che hai comandato questo esercito, portandolo fino a qui. –
L’ammiraglio sorrise, per poi irrigidirsi.  Tossì diverse volte, prima di riacquistare il controllo.
- E sono io che ho tradito. – aggiunse.
Il generale distolse lo sguardo, prima di passarsi una mano sulla barba del giorno prima.
- Tutti noi, Frederick, tutti noi abbiamo tradito. – disse cupo.
- No, io ho tradito, ho tradito te. – sibilò cercando di voltarsi per sfuggire alla vista dell’amico.
Il generale Masters gli afferrò la destra con entrambe le mani e lo fissò negli occhi spiritati.
- Frederick McRonin è il più valoroso comandante che abbia avuto la fortuna di conoscere e con cui abbia avuto l’onore di servire. Non ci sarà uomo, donna o bambino, non ci sarà soldato o marinaio che non conoscerà il tuo nome. Te lo giuro. –
L’ammiraglio sorrise fissando qualcosa oltre il compagno, evidentemente trasportato da quelle parole cariche di stima.
- Il mio nome, Johnatan? Dici? – e, sorridendo, spirò.

* * *

Aveva smesso di nevicare ed anche il vento aveva finalmente trovato pace… almeno per il momento.  Lingue di una luce insperata si distendevano dalle nuvole finalmente ferme nel cielo.  Il sole era un ricordo, ma se non altro riusciva a trovare la via, di tanto in tanto, per riscaldare il suolo e non solo quello. 
Sìlvèr si protesse gli occhi dal riverbero della luce riflessa su neve e ghiaccio e, dall’alto della collina in cui si trovava, contemplò il campo verso il quale erano diretti.  Erano tornati. Finalmente

a casa

tornati alla base, dopo un giorno e mezzo in cui aveva valutato seriamente l’eventualità di non farcela, come accaduto a parte del gruppo.
Alla fine avevano fatto una buona scorta di erbe medicinali, ma a parte qualche lepre dei ghiacci, non molto altro.  Magro, magrissimo bottino, a cui si aggiungeva la perdita di alcuni compagni e due giorni in più praticamente passati a combattere contro le intemperie per sopravvivere. In pratica: un fallimento.
Allungò distrattamente la mano verso il basso e sorrise prima di abbandonarsi ad una risata argentina quando il suo nuovo compagno aveva preso a leccarle la mano con affetto.
- Non è andata poi così male, almeno per noi? Non è così, Arlan? – e preso in braccio il lupacchiotto, raggiunse di corsa il resto della compagnia dei cacciatori che puntava verso il campo alleato.

* * *

Le due dozzine di figure in nero si fermarono poco distante dalle sentinelle, poi due di loro lasciarono il gruppo e, con sicurezza, puntarono direttamente i quattro orchi.
- Identificarsi! – grugnì il primo, mentre, seguito dagli altri tre, mise mano alle armi.
I due incappucciati si fermarono.  Il primo, un vecchio orco corpulento dall’armatura reduce da mille battaglie e recante dei vessilli violacei e cobalto era armato con una gigantesca ascia bipenne dal filo irregolare e frastagliato.  Il secondo, alto quasi il doppio, era avvolto in un pesante mantello il cui cappuccio gli ricadeva sul volto, celandolo quasi completamente, non fosse stato per il brillio azzurro innaturale che si spandeva tra le ombre, mostrando due cose agli orchi di fronte: non era un vivente. Non era un non-morto.  Esattamente come il vecchio orco che lo accompagnava e, probabilmente tutti gli altri poco distanti.  Uno spadone a due mani era assicurato dietro alla schiena e, a differenza del compagno, non sembrava intendesse volerlo afferrare e, sicuro del fatto sue, con le mani libere, ai avvicinava alle sentinelle.
- Ho detto fermi! – ruggì nuovamente l’orco preparandosi allo scontro.
- Fermi. – e si abbassò il cappuccio.  Quindi infilò una mano in una tasca interna del mantello e mostrò un plico ai quattro.
- Sono Colèra e sono qui direttamente su ordine del Generale Masters. Vi darò il tempo di verificare la mia identità e la mia missione, ma se non ci lascerete passare dopo averlo fatto… -
- Crok passerà lo stesso. – fece eco minaccioso l’orco al suo fianco.
La sentinella che, evidentemente, deteneva il comando fece cenno al guerriero alla sua sinistra e questo, grugnendo, strappò di mano a Colèra il plico e lo passò al suo comandante il quale, facendo un passo indietro, appoggiò l’ascia alla gamba, in modo che avrebbe potuto riafferrarla rapidamente qualora fosse stato necessario, quindi aprì il plico stropicciato e lesse quanto riportato al suo interno.
Infine, dopo essersi passato la lingua tra i due canini, restituì il plico al legittimo proprietario, con ben altri modi con cui il suo subalterno.
- Attendevamo il tuo ritorno. -  disse, quindi intimò a suoi di farli passare.

* * *

Sceiren aprì gli occhi e istintivamente si portò le mani sul viso per proteggersi dalla luce accecante che lo stava colpendo.  Non era più abituato alla luce, anche se solo di qualche raggio di sole.
- Bentornato. – disse Lòre stiracchiandosi.
- Lòre? Zaltar? Tornato? – chiese Sceiren cercando di rimettersi in piedi.
- Hai dormito pure troppo, mentre io troppo poco.  Le mie ossa… - si lamentò il vecchio mago.
- Vedi che sei vecchio? – lo canzonò il mezz’elfo punzecchiandolo.
Zaltar si scacciò il ciuffo bianco dal viso quindi si schiarì la voce.
Lòre si ricordò cosa doveva fare ed annuendo aiutò il mago a mettersi seduto.
- Ce la fai? – chiese sinceramente preoccupato.
Sceiren valutò le proprie forze, si passò una mano sulle sopracciglia realizzando che si erano nuovamente allungate.
- Sempre più elfo e meno umano, vedo. – la sua voce lo congelò.
- Direi che possiamo finalmente andare a rilassarci. – disse Zaltar sorridendo e, seguito da Lòre, lasciò la tenda.  Al loro posto, entrò provata, ma sorridente, Silvèr, ancora con gli abiti da viaggio.
Sceiren non disse nulla.  Voleva solo godersi quel momento.  La luce del sole redivivo dava un nuovo significato alla parola argento, disperdendosi sulla pelle dell’elfa della notte.
- Sei in ritardo. – sibilò con un nodo alla gola che non si addiceva ad un ufficiale, ma che non riusciva a trattenere.
Silvèr, divertita, gli si avvicinò ed aggiunse.
- Mi sono sbagliata sul tuo conto: sei ancora fin troppo umano, per essere un elfo, giusto Arlan? –
Chiamato in causa, il cucciolo schizzò come una freccia nella tenda per ricevere le coccole dalla padrona e fare le conoscenze di un nuovo amico.

* * *

Il Generale Masters, accompagnato dall’alto comandante dei crociati d’argenti, Lord Tirion Fondrin, l’evocatore Luther, il paladino Devin e il comandante Brazgul entrò nella tenda a passo di carica, salutò con un cenno del capo i nuovi arrivati, quindi si sedette al suo posto, seguito da tutti gli altri ufficiali.
- Cominciavo a pensare che non sareste arrivati in tempo. – esordì glaciale, afferrando pennino e calamaio ed iniziando a scrivere.
- O che non sareste arrivati affatto. – commentò asciutto il non-morto.
Colèra, per nulla impressionato, rimase in silenzio, così come gli altri al suo seguito, con voce cavernosa rispose al generale.
- Non è stato facile raggiungervi, non senza dare dell’occhio. –
- Molto giusto.  Nonostante espressione dell’ebano, la luce evidentemente vi ha accompagnato. Conta solo questo. Che siete qui e che avete la chiave per procedere. Dico giusto generale? – disse gioviale Lord Fondrin sorridendo e iniziando a tamburellare sul tavolo.
- Vedremo. Allora, Informatore, il capo del vostro ordine ha deciso di condividere quanto necessario oppure no? – tagliò corto smettendo di scrivere e fissando Colèra, prima, e l’orco al suo fianco, poi.
Il gigantesco cavaliere della morte apparve a disagio.
- Lord Mograine ha accolto con favore la vostra proposta e, anzi, si scusa per non essere qui, ma è stato trattenuto. – iniziò con cautela.
- Trattenuto?! Quali faccende più importanti di queste mi chiedo! – sbottò Devin incredulo.
- Faccende più sicure… - sibilò Luther prima di iniziare a tossire stizzito.
Il vecchio orco iniziò a spazientirsi e la cosa non passò inosservata.
- Che importa! Conta solo che ha mandato i suoi uomini per partecipare allo scontro! E con essi quanto vogliamo!  - tuonò Brazgul alzando la voce.  Fissò duramente Masters che, però, lo ignorò.
- E quindi? Hai le informazioni? – proseguì.
- Abbiamo quanto cercate, ma non significa che ciò che è nostro sarà anche vostro! – Crok si fece avanti minaccioso, ma Colèra gli posò una mano sul petto, fermando la sua avanzata.
Masters riposò il pennino al suo posto, quindi si umettò le labbra e scambiò un’occhiata con un Fondrin accigliato.
- Molto bene.  Io… io a nome di tutti noi e di chi a nostra volta rappresentiamo, vi ringrazio per essere qui. Sono state settimane molto complicate e difficili e forse tutto questo freddo mi ha portato a dimenticare le buone maniere.  Vogliate accettare le mie più sincere scuse, direi di ricominciare col piede giusto, se per voi va bene. C’è troppo in gioco per permettere a malumori intestini di compromettere l’intera missione. – la voce era tornata la calda e profonda voce di sempre.  Crok lanciò un’occhiata a Colèra, annuì e riprese la sua posizione al suo fianco.
- Grazie per il benvenuto, generale.  I cavalieri della lama d’ebano combatteranno al suo fianco. Per rispondere alla sua domanda, Lord Mograine, come dicevo, ha condiviso con me il suo segreto e mi ha autorizzato a condividerne la posizione.  Come ha detto lei, c’è troppo in gioco. –
- Prosegui. – lo incalzò lord Fordrin.
- E’ uno stretto passaggio accessibile sulle mura orientali.  L’ingresso da direttamente in una sala secondaria del primo piano della struttura. –
- Una volta dentro non dovremo fare altro che raggiungere il traditore! – disse Brazgul con gli occhi brillanti prima di sbattere un pugno sul tavolo. – Questa volta non potrà scappare ancora più a Nord di così! –
Colèra però era serio e concentrato.
- C’è dell’altro, non è così? – lo incalzò lord Fondrin seguito con attenzione da Masters.
- Altro sì. – rispose avvicinandosi al tavolo degli ufficiali. – Non sarà sufficiente entrare per raggiungerlo né sarà sufficiente raggiungerlo per sconfiggerlo. –
- Spiegati. – sibilò Luther.
Colèra fissò il non-morto, quindi disse quel nome: Sindragosa.
Luther si irrigidì.
- Mograine ha spiegato che Arthas risiede in cima alla cittadella in modo da essere protetto dal suo drago scheletrico in caso di attacchi aerei, mentre dabbasso, beh, le sue schiere sono innumerevoli e letali così come i suoi luogotenenti. –
- Affrontare un drago del genere e contemporaneamente far fronte al Re dei Lich in persona non è un’opzione… - valutò Devin mettendosi le mani tra i capelli.
- No, non lo è, ma forse abbiamo modo di pareggiare i numeri, almeno questa volta. – continuò Colèra.  – I nostri informatori riportano di un drago verde portentoso imprigionato nella fortezza.  Il suo nome è Valitrhia, la passasogni.  Il drago è in uno stato letargico provocato dal coma.  Le ferite riportate la costringono al sonno e, comunque, all’immobilità, tuttavia, se parte della squadra si dirigesse da lei prima che il resto del gruppo raggiunga la sommità della cittadella… - e lasciò in sospeso la frase volutamente.
- Se ho capito bene, Mograine vuole che dividiamo le forze dentro la cittadella del nemico, inseguendo un piano a dir poco lacunoso e privo di certezze che implica il risveglio di un drago in coma con la speranza che intercetti Sindragosa? Ho ben capito? – Luther era a dir poco scettico.
- Precisamente.  La passasogni non deve sconfiggere Sindragosa, ma tenerla occupata il tempo necessario.  Quando il Re dei Lich cadrà, cadranno anche le creature da lui riesumate dalla tomba come il drago scheletrico di cui stiamo parlando. –
- E comunque, qualora non fosse sufficiente, potrò fornire manforte a sufficienza nei cieli!, se necessario. – aggiunse Fondrin evidentemente pensando alla sua Spaccacieli.
- E comunque, se Arthas non dovesse cadere, sarebbe irrilevante ogni altra contingenza. – tagliò corto Masters appuntando gli ultimi dettagli. – C’è altro? –
- Sì.  Arthas può essere raggiunto solo da suoi pari.  Nessuno che non sia un suo seguace può accedere alla sua sala del trono. –
- Un non-morto? –
Colèra scosse il capo: - Non è sufficiente.  Serve qualcuno come lui, qualcuno che lo abbia servito, qualcuno che il portale riconosca come alleato e servo di Arthas.  Qualcuno come me. –
Masters smise di scrivere e fissò l’Informatore con attenzione.
- Perché tu? –
- Non io, ho detto qualcuno come me.  Io e i miei confratelli siamo cavalieri della morte, ribellati al suo volere, al suo giogo, ma da lui creati, dal Re dei Lich.  Egli stesso è un cavaliere della morte.  Per questo il portale si attiverà al nostro passaggio.  Basterà che sia vicino e potrete passare e poi, quando sarete dall’altra parte, vi raggiungerò.  Tra tutti i presenti, inoltre, credo di essere colui che se non altro ha già dato prova delle proprie intenzioni, sostenendo l’azione dei ribelli al seguito di Lenore in attesa del vostro arrivo a Dracombra, quindi, se non altro, se dovreste mandare qualcuno tra noi, quel qualcuno dovrei essere io.  Sarebbe la scelta più ovvia e prudente. –
Masters fissò il non-morto di fronte a sé, quindi annuì.
- Molto bene. Tu conosci come accedere alla fortezza e tu servi per il portale. Direi che  la tua proposta è accolta.  Resta solo da individuare la forza che accompagnerai.  Paragon e Borked? - chiese voltandosi verso Devin, ma il paladino scosse il capo.
- Troppe vittime nelle loro schiere. Dovremmo innestare nuovi componenti tra le loro fila e non avremmo la coesione e l’affiatamento necessario per una missione tanto importante. –
- Altre opzioni? – chiese spazientito.
- Una ci sarebbe, in effetti. – disse Luther ghignando malvagio.  – La confraternita che ha sconfitto la Regina del Sangue Lan’athiel pare che vanti un ottimo stato di servizio.  Dopo quanto accaduto, mi sono informato sul loro conto.  Pare abbiamo affrontato i quattro durante la battaglia di Naxxramas e se i miei informatori non hanno preso un abbaglio, sono coloro che hanno recuperato il secondo oggetto. –
- Sei sicuro? – si intromise Devin interessato – L’Occhio Viola si sarebbe servito di loro? –
- Così pare come pare siano stati inviati a Forte Tempesta durante l’attacco al Tempio Nero. –
Il generale Masters appuntò ogni dettaglio, quindi annuì.
- Portatemi il loro comandante, voglio parlare con lui ed accertarmi delle loro… referenze e se sarà tutto vero, potremmo aver trovato la nostra opzione. –
- I nostri campioni in queste lande ghiacciate! – gli fece eco Lord Fondrin.

* * *

Fu il primo a svegliarsi.  Tremava dal freddo, come da settimane del resto, ma quella mattina, se non altro, non sentiva l’ululato del vento.
Ben attento a non svegliare i commilitoni, afferrò i vestiti, li indossò, quindi si calò il pesante mantello sulla schiena ed infilati gli stivali, lasciò la tenda.
Il sole faceva capolino di tanto in tanto tra le nubi, per poi subito dopo scomparire dietro di esse.  Come gli mancavano le albe e i tramonti di casa, quando il sole incendiava i campi di grano pronti per la raccolta.  Il ragazzo sorrise prima di starnutire, quindi superò la sua tenda e puntò al punto di raccordo.  Sperava di non dover fare troppa file, almeno non quel giorno.
Oltre alle sentinelle, non vi era nessuno, salvo un veterano che incontrava quasi tutte le mattine allenarsi con una bella spada lunga. 
Spencer sorrise quando lo vide esattamente dove sapeva l’avrebbe trovato: a dispetto dei suoi capelli grigi e delle rughe sul suo volto, era certo che sarebbe stato sul campo ancora per molto, molto tempo.  Quel mattino, però, a differenza di quelli precedenti, rimase sorpreso nel vederlo intento in operazioni tutt’altro che legate alla sua professione.  Invece di duellare contro minacce immaginate, descrivendo forme collaudate negli anni, era seduto su un secchio rigirato e, specchiandosi nel suo lucente scudo a torre, sempre con quella spada così particolare al suo posto nell’alloggiamento dietro la schiena, si stava semplicemente radendo.
Il soldato si fermò a guardarlo, ben eretto, tenendo la sua lancia perpendicolare al suolo. Non voleva dare una brutta immagine di sé al vecchio guerriero, qualora si fosse voltato e lo avesse visto a fissarlo.  Non era da lui! Il cuore gli iniziò a battere nel petto con forza, accelerando i battiti, senza un motivo che riuscisse a comprendere: quella mattina non era dissimile da altre mattine passate durante l’assedio, eppure, quei semplici gesti così discordi con quanto aveva visto ad opera di quel guerriero lo impensierirono.
Il lanciere scelto Spencer trattenne il fiato: voleva parlare con lui, voleva parlare con quell’uomo, ma una voce cristallina richiamò la sua attenzione, dopo quella del veterano che, scattato quasi sull’attenti, aveva in un baleno riposto il pugnale che usava per radersi nel secchio e fissava una figura in una tenda poco distante.  Quindi disse che “la colazione era proprio quello che serviva” e asciugatosi il viso, a larghe falcate, sparì nella tenda.
Chissà se anche lui sarebbe diventato un avventuriero? Senza aggiungere altro ai suoi pensieri, già fin troppo agitati, riprese la sua via e raggiunse il luogo in cui, allineati, quattro scrivanie precedevano altrettante fila di uomini, qualche nano e un paio di gnomi.  Seduto dietro a ciascuna scrivania, un soldato armato di cotta di maglia. Scelse la più corta.  Quattro prima di lui.
Non attese molto prima che fosse il suo turno e così, una volta che colui che lo precedeva si alzò e lasciò libero lo sgabello di fronte la seconda scrivania, prese posto, dopo aver debitamente salutato il graduato di fronte.
- Molto bene. Nome, corpo, destinatario e destinazione. – iniziò intingendo la punta della piuma d’oca nel calamaio.
Spencer deglutì, quindi si avvicinò.
- Grazie Caporale.  Il mio nome è Spencer Farlan, quinto corpo di fanteria.  Destinatario: Gregory e Sarah Farlan, fattoria dei Farlan, Foresta di Elwin, Stormwind. –
Il caporale appuntò il tutto, quindi voltò il foglio e attese.
- “Mia amata madre, mio caro padre, sono lieto di potervi mandare queste poche righe dal fronte. Da qui, presto, lanceremo l’attacco finale che ci libererà dalla minaccia.  Vorrei dirvi che sono orgoglioso di essere qui e che mai come adesso valore e onore mi spingono ad eccellere, ma la verità è diversa. – prese una pausa sotto gli occhi contrariati e sprezzanti del caporale. – Non è la voglia di primeggiare o qualche nobile causa che mi hanno portato fin qui, che mi hanno dato la forza di sopravvivere. Nonostante le vostre parole, i vostri consigli e le vostre raccomandazioni per superare la cosa, nel mio cuore, oggi, c’è solo sete di vendetta.  Non posso dimenticare Rosa, non riesco e non lo farò mai. Sono ben consapevole che voi prima di me soffrite al solo pensiero, soltanto pensando a lei, ma come ho detto, voglio vendicarmi di colui che ce l’ha strappata via e lo farò.  Sono un soldato del consiglio e sarò in prima linea quando i miei superiori decideranno di spezzare le linee nemiche e vi renderò fieri di me, ma non posso negare voi, i miei genitori, coloro che mi hanno dato la vita, la verità.  Questa voglia di riscatto riesce a ricacciare la paura, ma non sempre, madre mia, riesco a superarla.  Questa mattina, più che mai, sento che il momento dell’attacco è vicino. Lo sento.  Qui, i nostri comandanti, coloro che saranno sul campo al nostro fianco, ripetono che dobbiamo essere fieri di essere coloro che impatteranno col nemico per primi, ma non tutti la pensano così.  In molti, invece, pensano che questo attacco non sarà vittorioso e che, purtroppo, nessuno tornerà a casa. Queste poche righe potrebbero essere quindi le mie ultime e voglio che siano importanti.  Perdonatemi se leggendomi proverete dolore e preoccupazione, ma vi giuro che, qualora sopravviverò alla missione, la prima cosa che farò sarà comunicarvelo, perché sappiate che vostro figlio sta bene e che sta tornando da uomo, da veterano, a casa.  E’ buffo: nonostante mi trovi nel posto più inospitale che abbia mai visto, tutto sommato mi piace. E’ così diverso da casa e, forse per questo, mi piace così tanto vedere il sole fare capolino tra le nubi cariche, sempre, di neve e pioggia. A te piacerebbe, padre, mentre tu lo detesteresti, madre.  Dal canto mio, voglio godermi ogni minuto ed ogni sprazzo di bellezza perché non so cosa mi riserverà il futuro.  Come dicevo, in molti sostengono che per noi il futuro è già scritto e che siamo ora più che mai figli delle decisioni altrui, decisioni che ci porteranno a nulla di buono; io però la vedo diversamente e quando mi fanno questa battuta rispondo sempre con decisione che sono figlio di mio padre e di mia madre o al massimo, se proprio devo scegliere, mi sento figlio di ogni alba che vedrò e poiché su una cosa hanno ragione e che, cioè, non si può sapere quanto i fati ci riserveranno, essendo ogni giorno potenzialmente l’ultimo che vivremo, dico loro di sentirmi figlio dell’ultima alba che vedrò, sperando che possa vederla dagli scuri di casa mia.  Con infinito amore.  Spence.

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren