Autore Topic: Figli dell'Ultima Alba XLIX - Capitolo 40: Appendice  (Letto 1241 volte)

Sceiren

  • GM Rising Dradis Echoes
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    • Mai dire di no al panda!
Figli dell'Ultima Alba XLIX - Capitolo 40: Appendice
« il: Dicembre 28, 2015, 10:41:06 am »
40
Appendice

La gnoma si lanciò un’occhiata ammiccante allo specchio riposto alla sua altezza: il rossetto sfavillante era ben messo, ombretto piazzato, capelli raccolti, abito nuovo di tintoria, profumo di violette (il suo preferito).  Era semplicemente affascinante. Straordinaria.
Canticchiando saltellò sul letto e, afferrata la borsa alta quasi la metà di lei, iniziò a rovistare dentro.
- No… no… no… ecco! – estratto un marchingegno realizzato appositamente per lei da un ingegnere goblin da un nome impronunciabile, inspirò profondamente ed arrossì, quindi lanciò un’occhiata allo strumento.
- In perfetto orario. – constatò soddisfatta. 
Stava per riporlo nella borsa, quando realizzò che il solito, fastidioso, ticchettio del segnatempo, stranamente era estremamente più sopportabile… per essere precisi era completamente assente.
Si sentì gelare il sangue nelle vene.
Afferrò di scatto il marcatempo e spalancando la bocca per la terribile scoperta, si rese conto che si era fermato e, quindi, con molta probabilità, più che in anticipo, era quasi certamente in ritardo!  Afferrò con entrambe le mani paffute lo strumento e lo scosse con decisione fino a quando il solito ticchettio non riprese.  Pose il marcatempo di fronte a sé e, con l’indice tremante, sfiorò il tasto giallo e nero con una grossa “R” sopra.  La “R” stava per recupero.  Schiacciato, il marcatempo parve impazzire per qualche istante, accelerando i giri in una frenesia di rotelle, ruote dentate e lancette, fino a quando, rallentando, non mostrò agli occhi sconvolti della gnoma quanto tardi in realtà fosse.
Gettato il marcatempo nella borsa e messa a tracolla quest’ultima, Tempesta si lanciò fuori dalla camera della taverna in cui aveva riposato la notte in modo da essere in orario: doveva raggiungere il suo compagno prima che fosse troppo tardi o, comunque, non più tardi di quanto già non fosse.

* * *

C’erano poche cose che lo tenevano concentrato più della battaglia ed una di queste era il tavolo da gioco dal quale, suo malgrado, non aveva mai potuto allontanarsi per più di un paio di giorni di seguito.  Tutto era iniziato anni prima, quando aveva compreso che le sue ricerche, l’obiettivo di tutta una vita, non avrebbero portato ad altro che tribolazione e fallimento.  Era vero, però, e i consigli saggi della gnoma che aveva preso in moglie erano stati per lui una fonte di ispirazione e, a guardar bene, salvezza a lungo termine.  Peccato però, che abbandonate le ricerche del padre, Soncritters si era gettato anima e corpo in un gioco di carte che lo aveva stregato, alla ricerca della fama e della gloria che le avventure non gli avevano portato.
- Tocca a te, gnomo. – lo minacciò il corpulento nano grattandosi la lunga barba rossa come il fuoco che ardeva, scoppiettante, nel camientto della taverna.
Lo gnomo afferrò un cristallo azzurro, lo piazzò sopra i cinque già allineati sul lato della scacchiera, quindi pescò una carta. Contemplò al mano che aveva e sorrise sicuro delle proprie possibilità, quando tra il pubblico alle sue spalle si fece strada, senza troppi complimenti, una paffuta gnoma vestita di tutto punto, circondata da un profumo di fiori forte e persistente.
- Sonny! Molla tutto e andiamo! Siamo in ritardo! – piagnucolò la nuova arrivata.
- Aspetta un attimo, ho una buona mano… - e tornò a fissare le proprie carte.
Tempesta gli afferrò il capo, ruotandolo quasi di centottanta gradi e costringendolo a voltarsi.
- Siamo in ritardo, Sonny, il maestro Pantheoni non gradirà! Lo sai! Non sopporta i ritardatari e io non posso… -
- Cos’è: decide la femmina a casa tua o sei tu il maschio? Dovrei giocare con lei? – lo canzonò il nano.
C’erano poche cose che lo tenevano concentrato più della battaglia, ma di certo, una di queste, non era l’insolenza.  Per un attimo pensò a risolvere la questione da gentil-gnomo, ma avrebbe peggiorato ulteriormente la loro situazione, facendo agitare ancora di più sua moglie.  Sonny, lentamente, si alzò in piedi sullo sgabello e fissò dal basso verso l’alto il nano divertito, quindi posò le carte sul tabellone e avvicinandosi sussurrò:
- Mia moglie?: ci batterebbe ad occhi chiusi tutti e due... meglio di no, credi a me. – e, con un saltello, toccò terra e salutato il gremito pubblico, si allontanò mano nella mano di Tempesta.

* * *

Roredrix trattenne il respiro, quindi bussò con decisione.  Nessuna risposta dall’altra parte.  Il veterano si mise le mani in tasca, quindi si voltò verso la stanza da pranzo contemplando il cantiere che era diventata.  Avrebbe avuto molto lavoro da fare, al suo ritorno: l’armadio che stava montando era ancora, era il caso di dire, in alto mare.
Istintivamente alzò gli occhi alla rastrelliera sopra il caminetto acceso ed all’arma riposta nell’alloggiamento più altro dei tre.  Sorrise.  Per la sua fedele compagna, era giunto il tempo del riposo.
- Sono… pronta! – rispose Lùce aprendo la porta. Indossava un elegante abito azzurro, bordato d’oro e argento.  Semplici calzari di pelle di daino, allacciati fin sopra il polpaccio, le davano un aspetto quasi silvestre.  I suoi capelli corti erano stati curati in un’acconciatura sobria, ma affascinante.  In poche parole, era bellissima.
Roredrix si avvicinò alla sua amata ed ammiccando le chiese se non sarebbe stato meglio inventarsi una scusa e restare a casa, quel pomeriggio; ma Lùce non la pensava così.  Il guerriero fece spallucce, porse il braccio in perfetto stile cavalleresco e, chiusosi il portone alle spalle, lanciata una immancabile occhiata al loro lago poco distante, raggiunse i due cavalli impastoiati alla staccionata che delimitava la loro proprietà. 
- Ti aiuto, aspetta. – disse intrecciando le dita delle mani in un gradino improvvisato solo per lei; quindi, montanto sulla propria cavalcatura, i due si allontanarono in direzione della non troppo distante Goldshire.

* * *

Il destriero fiammeggiante evocato da Albina correva lasciando una scia di cenere e polvere alle sue spalle.  Non si era fermata neppure per dormire, non voleva mancare… in un certo senso.  Superò il ponte che segnava l’inizio della Foresta di Elwin e, lanciata un’occhiata al sole, valutò che aveva ancora tempo per una piccola deviazione.  Un tributo che doveva a sé stessa.  Tirate le redini, indirizzò la sua cavalcatura da incubo nel prodondo del bosco, verso nord, su un sentiero un tempo battuto da lei e dai suoi amici e, talvolta, anche da qualche suo nemico tanto stolto da andarla a cercare.  Albina si immerse nella vegetazione, quindi scartò sulla destra, girando intorno ad una miniera abbondata e qualche minuto dopo, avvolta in una vegeazioe recente, ma non antica come il resto del boschetto, quel che rimaneva di una torre.
L’evocatrice scese a terra si guardò intorno, lasciando correre i suoi occhi candidi come la neve sul quel cumulo di macerie, le macerie della sua casa, la casa che l’aveva ospitata del decenni e che aveva dato alle fiamme poco più di un anno prima in una manciata di minuti.  L’odore di legno bruciato si confondeva ancora con il profumo del bosco che, senza la cura di chi viveva in quei luoghi, giorno dopo giorno, si era riappropriato della zona. 
Camminò tra quelle rovine come un fantasma, quindi un sorriso stanco si disegnò sul suo volto bellissimo e terribile.
Era un addio.
Provando sensazioni che non amava neppur soltanto immaginare, l’evocatrice si voltò di scatto ed a larghe falcate raggiunse il destriero fiammeggiante, saltò in groppa, e riprese il sentiero maestro. 
Poco distante dalla sua meta, scese da cavallo e lo liberò dalla costrizione, promettendogli, con una sadica promessa, che lo avrebbe richiamato molto, molto presto, quindi, sola, si avvicinò alla casa del suo amico Sceiren. Un chiacchiericcio gioviale, risate, battiti di mani, passi, nitrito di cavalli, un botto facco brillare prima del tempo e un fuoco d’artificio oltre le fronde.  Albina si fermò.  Fissò, tra le fronde, la coda della rosa infuocata esplosa nel cielo e sorrise.  Sarebbe stata una bella festa, una festa alla quale, però, non era il caso che partecipasse.  Non avrebbe potuto guardare Erebus negli occhi.  In effetti non lo aveva più fatto, da quando aveva messo piede a terra, dopo il viaggio di ritorno. 
L’evocatrice deglutì: una parte di lei moriva dalla voglia di lanciarsi nei festeggiamenti con tutti i suoi amici per passare un po’ di tempo con loro e sentirsi parte di qualcosa, un’ultima volta, ma il rimorso per quanto aveva fatto era più forte del desiderio.  Aveva promesso.  Aveva agito per un bene superiore ed ora era giunto il momento di pagarne il prezzo.
L’evocatrice inspirò la puzza di polvere da sparo che, dal fuoco artificiale, l’aveva raggiunta e si cocnentrò sulle urla di qualcuno che riprendeva qualcun altro.  Giurò di aver sentito il nome di Wildhoney urlato da un furente Wayscraper.  Doveva essere stato l’elfo a far partire accidentalmente il fuoco d’artificio.  Si sentì gli occhi bruciare, ma questa volta, a dispetto di tutte le altre, decise di non opporsi e, in ginocchio, si abbandonò ad un pianto liberatorio, al termine del quale, nuovamente in groppa al suo destriero fiammeggiante, si voltò e si perse nella vegetazione.

* * *

Lòre si umettò le dita, quindi si avvicnò all’amico, fissandolo con attenzione.
- Non muoverti ora… - lo minacciò, mentre gli sistemava le sopracciglia, fin troppo lunghe per i suoi gusti, nonostante la metà di quelle della maggior parte degli elfi che conosceva.
- Ti prego… per favore, Lòre!, basta così, sono già piuttosto teso senza che tu ci metta del tuo. – lo supplicò l’elfo chiudendo gli occhi.
- Un elfo ansioso, ridicolo. – Zaltar era comparso dal nulla e Lòre, quando lo vide, non potè non scoppiare in una fragorosa risata.
- Non dirmi che ti presenterai così! – riuscì a malapena a dire prima di tornare a ridere senza controllo.
Il vecchio mago lo fissò furente, quindi si obbligò ad ignorarlo e si concentrò sull’amico poco distante.
- Gran bel vestito, Sceiren; mai quanto il mio, certo, ma davvero un bel vestito. –
Sceiren guardò il barocco abito del vecchio mago, sorridendo alle spalline d’argento che, a dispetto della sua età e del peso che sembravano avere, indossava sempre durante le occasioni più importanti.
- Sei sicuro di riuscire a portarle fino alla fine della cerimonia, Zaltar?, non vorrei doverti portare in braccio in locanda, questa notte… - sussurrò il mezz’elfo all’orecchio dell’amico.  Il mago schioccò le dita congelando la punta del naso di Lòre.
- Ma che fai! – e starnutì.
- Bel trucco quello. – si complimentò Sceiren.
- Puoi sempre aiutarlo accendendogli il naso come fosse un cerino. – annuì serio Zaltar.
- In effetti… -
- La volete smettere, e starnutì, ora come faccio a farti da testimone in questo… in questo… stato! – e starnutì nuovamente.
- Padre? –
Sceiren si sentì mancarei l’aria nei polmoni. Non si era ancora abituato a sentirsi chiamare per quello che era da Illentar, il suo unico figlio.  Aveva spiegato, nel più semplice e chiaro modo possibile, quanto accaduto alla donna che pensava fosse sua nonna e che, invece, era sua madre e di come il suo spirito fosse passato nell’elfa di nome Silvèr.  Illentar, come solo i bambini possono, aveva compreso, seppure solo dopo altre migliaia di domande e mesi di tempo, in un qualche modo, ed era riuscito a trovare una sorta di equilibrio.  Accettarlo come padre era stato quasi istintivo ed immediato perché il piccolo mezz’elfo sembrava non aver mai dubitato della cosa, come se fosse stata una verità a lui nota, ma celata dietro un velo di finzione, come un gioco che faceva da quando era nato, ma che, in fin dei conti, sapeva bene essere soltanto un gioco.  Zaltar riteneva che alla base di tutto ci fosse stata la magia in quanto nato, cresciuto e nutrito a latte e magia da due maghi e, abituato a vedere cose incredibili e prodigi indescrivibili all’ordine del giorno; così, quella spiegazione inaccettabile per la stragrande maggioranza dei bambini, per lui altro non era che l’ennesimo trucchetto del nonno o, per essere precisi, del padre.
- Padre ci sono tutti… anche lui. – disse sfiorandosi con le dita le lunghe orecchie.
- Oramai sei grande, non dovresti smetterla di torturartele. Guarda me: se facessi come te ogni volta, non le avrei praticamente più le orecchie… -
Sceiren si abbassò per guardare il bambino dritto negli occhi spauriti.
- Su una cosa lo zio Lòre ha ragione: sei grande oramai e una delle cose che devi imparare è non fermarti mai alle apparenze.  Oshova è singolare, diciamo, diverso da ogni altro amico di tuo padre o dello zio Lòre o dello zio Zaltar, ma è un amico e farebbe di tutto per evitarti spiacevoli incontri, credimi.  Ha solo avuto una vita difficile che lo ha cambiato, fuori, ma dentro è sempre un fratello premuroso, un amico fedele e un leale alleato. –
Il mezz’elfo annuì, quindi si avvicinò alla porta e nuovamente sorridente aggiunse:
- … va bene, allora starà sicuramente facendo finta di essere arrabbiato con te che fai tardi immagino! Ciao a dopo! –
Lòre sorrise e voltandosi verso Sceiren annuì rubicondo come Illentar poco prima:
- Matrimonio e funerale nello stesso giorno: grandioso ed economico! –

* * *

Erebus si sistemò la costosa giacca che Tillisha aveva comprato per l’occasione e che aveva preteso che indossasse… nonostante odiasse vestirsi a quel modo.  La draenea, troneggiando sul piccolo evocatore, dal canto suo indossava una fine gonna di seta verde sovrastata da una camicetta viole e argento. 
- Selune, mi sento un pinguino. – protestò Erebus allentando il foulard che aveva intorno al collo.
Il paladino, nella sua alta uniforme scintillante, rise di gusto, prima di incrociare gli occhi lampeggianti di Tillisha, così aggiunse prontamente: - Un pinguino elegante, però. –
- A proposito di pinguini, guardate chi arriva! – Erebus salutò con la mano il guerriero che, assieme una nutrita schiera di accompagnatori, stava raggiungendo lo spiazzale dove si sarebbe tenuta la cerimonia.
- Comandante., disse formale Shepardneo, stringendo la mano all’evocatore, Complimenti per l’abito, davvero ottimo gusto. – aggiunse squadrandolo.
- Davvero un gusto sopraffino. – gli fece eco TIllisha, prima di salutare i draenei al seguito del guerriero.  Solseit, Utanathor e Sevex. 
Poco distante, Bryger e July avevano intercettato Wulfgaard e Balu ed avevano intavolato una discussione come solo i nani sapevano fare.  Zigho, seguito da una pacifica Loque'nahak, sempre al suo fianco da quando era rientrato, ascoltava con interesse Kimmolauz, infervorato nel racconto della battaglia per liberare la Passasogni.  Considerato che aveva perso il conto delle volte in cui l’aveva ascoltato, quando vide arrivare Selta, non perse occasione per allontanarsi con cortesia e lasciare Kimmolauz e le sue storie alle attenzioni di Wayscraper, nuovo reggente dei novizi. Il guerriero, marziale anche se in abiti civili, dette una sonora pacca sulla schiena al cacciatore, mozzandogli il fiato:
- Secondo me ti manca la vita da novizio. – esordì.
- Tutt’altro, ho rischiato la vita innumerevoli volte per guadagnarmi il mio grado e sinceramente ho lavato fin troppi pavimenti sotto gli ordini di… - le parole gli morirono in gola e Wayscraper si rabbuiò.
- E’ stata… è stata una mentore indimenticabile. Dico sul serio, Way. – disse imbarazzaro l’elfo abbassando gli occhi.
- Lo so, lei era… - il guerriero si voltò verso Clintburton che scherzava con Elenid e Kyrianis, seguiti da un sempre più accigliato Rambosso, accanto a Eagle, Baghy e Kimmosafà.  Erano i suoi ragazzi, i novizi che avrebbe portato al grado componenti effettivi della gilda, forse e sorrise.
- Mi manca sai. – e tornò a fissare triste Kimmolauz.
- Lo so, ma attraverso loro, continuerà a vivere qui tra noi. – rispose, quindi, con la coda dell’occhio, intravide qualcuno che lo lasciò senza fiato.
- Ma tu guarda… - Kimmolauz lanciò un’occhiata a Wayscraper indicando un opspite alle sue spalle. Way incrociò con lo sguardo Blackill, abbracciato ad una draenea sensuale e praticamente nuda, ad eccezione di qualche velo trasparente che la copriva per modo di dire quel pizzico che la separava dallo scandalo.
- Non ci credo. – disse Way con la bocca spalancata.
Il ragazzo si passò una mano tra i fluenti capelli biondi e, lasciato un casto bacio sulla guancia della sua compagna, si congedò da lei per avvicinarsi ai suoi compagni.
- No, dico, Blackill! Non dirmi che si tratta di lei! –
Il paladino annuì sbuffando.
- Che vi devo dire, ragazzi: il mio fascino ha fatto breccia nel suo cuore prima che lasciassimo Shattrath. E’ da allora che stiamo insieme. –
- Complimenti, attento che non te la soffi qualcuno.  Sai, c’è una certa atmosfera durante i matrimoni. – lo punzecchiò il guerriero.
Blackill si fece serio e si guardò intorno rimanendo per un attimo a fissare Gengiskhan che scambiava due parole con il suo bocconcino.
- Credo… che la lascerò parlare con quello lì. Mi fa paura. – e scoppiò a ridere.
- Ehi eccolo! – esclamò lo gnomo nero saltellando quando Sceiren, accompagnato da Lòre e Zaltar, raggiunse il gruppo dirigendosi all’altare. 
L’elfo scambiò due parole con tutti quelli che gli passarono accanto, strinse la mano a Selune e Nadìr, quindi raggiunse l’altare dove Ilarìa, in abito completamente bianco, attendeva il suo, il loro arrivo.
- Pare proprio che ci siamo… – lo canzonò la sacerdotessa abbracciandolo.
Sceiren la strinse con forza, quindi sorridendo rispose:
- Pare proprio di sì e, a proposito, grazie per essere venuta. –
- Non sarei mancata per nessun motivo al mondo. – rispose lei facendogli l’occhiolino.
Sceiren si guardò intorno: spaziò dalla vecchia generazione di amici, agli amici con i quali aveva condiviso la vita e la morte oltre mare, osservò Wayscraper organizzare il tutto come un tempo avrebbe fatto la moglie seguito da i novizi che rappresentavano la nuova generazione dei Templari Neri, al gruppo che un tempo si faceva chiamare Cavalieri dell’Alba e che ora era parte integrante della sua famiglia allargata.  Sorrise al piccolo Illentar che, al fianco della sempre paziente e presente Gaia, con mento all’insù, fissava un divertito Oshova e i suoi occhi azzurri lucenti.  C’erano tutti, tutti tranne Albina: non la vedeva da nessuna parte.  Conoscendola, sarebbe arrivata da lì a poco ed avrebbe movimentato l’atmosfera; infine ecco colei che attendeva da tutta la vita.
Accompagnata da Uranias e Lùce, Silvèr, avvolta in abiti leggeri e fini, essenziali, come solo un’elfo potrebbe, radiosa, passo dopo passo si avvicinava all’altare.  Sceiren si voltò verso Ilaria che, commossa, sfogliava il breviario per non cedere alle lacrime; quindi, incrociato lo sguardo di Roredrix e Hytujaram e tornato a guardare la platea, realizzò che non poteva andare meglio di così: tutto era semplicemente perfetto.  Circondato dall’affetto di coloro che, nel corso degli anni, lo avevano accompagnato nel cammino lungo e difficile della sua vita, gioiendo con lui per i suoi successi, sorreggendolo nei momenti più cupi, andandolo a recuperare al di là del mondo quando, solo, aveva dimenticato chi fosse; guardando quegli eroi che, messa da parte ogni cosa, avevano scelto di aiutarlo nel momento del bisogno e che poi, animati da un ritrovato senso di

famiglia

appartenenza, erano tornati sulla piazza, guardando quegli eroi che avevano lottato al suo fianco per riportare la pace sul loro mondo, si sentì felice come potrebbe solo un futuro marito, sull’altare, che vedeva avvicinarsi l’amore della sua vita, passo dopo passo.  L’aveva perduta e l’aveva ritrovata, per riscoprirla giorno dopo giorno in qualcosa di nuovo, un misto di futuro e passato di cui si era innamorato nuovamente.  Sì, era vero: non poteva andare meglio di così.
Quando Silvèr venne lasciata dalle due damigelle in prossimità dell’altare, quando Ilaria iniziò il rituale che li avrebbe uniti anche agli occhi del Creatore, Sceiren afferrò la mano dell’elfa, protetto dall’affetto della famiglia dei Templari Neri di cui, per sempre, avrebbe fatto parte.

* * *

La sua immagine comparve nella sfera e gli occhi immortali della madre di tutti i draghi si inchiodarono sull’elfa non-morta con attenzione.   Sylvanas stava attraversando un corridoio angusto e quasi privo di luce, ma gli occhi di Alexstrazda non avevano alcun problema a metterla a fuoco.  Così la custode della vita, nella sua forma umana, osservava attraverso la sfera della visione all’ultimo piano della Torre dei Draghi la signora della Città Morta, come ogni giorno da quando il Signore dei Lich era stato sconfitto.  Accanto a lei, come sempre, il suo consorte attendeva paziente che la sua signore completasse la sua indagine. 
Sylvanas stava andando nei suoi alloggi e come sempre, non appena li raggiunse, l’immagine termolò, fino a sparire completamente, quando superò la porta della sua stanza.
Alexstrazda sbuffò contrariata.
- La osserverai anche domani? – era la domanda che le rivolgeva ogni volta ed ogni volta la risposta era sempre la stessa. Metodica:
- Fino a quando non avrò una risposta. –
Quella sera, però, il drago si avvicinò e continuò:
- Cosa ti turba, mia regina?: hai raggiunto il tuo obiettivo, hai rallentato la sua ascesa e, proprio come avevi programmato, Bolvar ha preso il suo posto sul trono di ghiaccio, impedendo allo spirito di Ner'zhul di vagare libero. Cosa, quindi, mia regina, turba la pace del tuo cuore?, lascia che partecipi ai tuoi dubbi. – chiese fissandola con i suoi occhi eterei.
La madre dei draghi si voltò:
- C’è una cosa che tollero ancora meno della stupidità dei mortali ed è l’inconsapevolezza.  Qualcosa stona nella melodia che ho suonato e colei che è la chiave di questa… frattura negli eventi è colei che seguo.  Devo capire. – e raggiunto il bordo della sala, spiccò un balzo nel vuoto, liberando le sue ali vermiglie, nuovamente in forma di drago, prima di prendere il volo e sparire oltre le nubi di Dracombra.

* * *

Sylvanas si sedette sulla sua sedia intarsiata e iniziò a leggere uno dei numerosi e rari tomi che arricchivano la sua biblioteca personale, quando qualcuno bussò alla sua porta.
Senza alcun timore, fece entrare il suo ospite.  L’elfo del sangue fece un inchino col capo e la salutò in elfico antico.
Sylvanas si voltò e inclinando appena il capo su un lato, mise a fuoco il suo visitatore con un sorriso beffardo sul volto.
- Credevo avessi perso la strada. – disse.
- Mia regina, sono… costernato per la mia assenza, ma affari oltre portale, ai quali non potevo sottrarmi, mi hanno tenuto estremamente occupato. –
- Immagino: amministrare i manaforgia di Netherstorm non deve essere cosa da poco.  Scommetto che Rommath, però, sarà ben lieto dei risultati del tuo lavoro. –
L’ambasciatore Tristesole annuì sorridendo e i suoi occhi smeraldo lampeggiarono.
- Molto, sì. – poi l’elfo del sangue si avvicinò di un passo.
- Sono venuto innanzitutto per porgerti i miei più sentiti complimenti, anche se devo dire, che hai giocato una partita pericolosa, mia regina. –
Lady Sylvanas lo guardò dubbiosa.
- A cosa ti riferisci esattamente? –
L’elfo del sangue si guardò intorno circospetto.
- Mi riferisco agli eventi… -
- Suvvia, mio fedele Tristesole, smettila di parlare a singhiozzo, sei libero di parlare come ritieni più opportuno qui… pronto, però, ad assumerti la responsabilità di ogni parola. –
- Non è questo che mi preoccupa, quanto invece le orecchie indiscrete che potrebbero ascoltarle. – rispose asciutto.
Sylvanas sorrise, quindi indicò uno scrigno di ametista e cristallo appoggiato sulla sua credenza.
- Prendilo, ordinò, ora aprilo. –
L’elfo del sangue rimase senza parole e la sua sorpresa divertì a tal punto la regina dei non-morti da farla ridere.
- Il… cuore… di Malygos. Hai amici potenti, davvero potenti, mia regina. –
Sylvanas prese lentamente lo scrigno dalle mani tremanti dell’elfo del sangue e guardò il cristallo azzurro al suo interno. – Ho fedeli servitori, ambasciatore, e con questa reliqua nelle vicinanze, chiunque volesse partecipare alla discussione o semplicemente sbirciare dove non potrebbe, dovrebbe essere qui con noi. I metodi, diciamo, non convenzionali, non funzionerebbero. Ora, ripeto, a cosa ti riferisci? –
- L’aver permesso a Varimathras di prendere il potere grazie all’aiuto di Putress è stato un gioco pericoloso. Se non avessi ripreso il controllo? Avresti perso la città. –
- Come ho detto, ho avuto servitori fedeli. –
- Non definirei Varian Wrynn e Thrall due servitori, ma devo dire che ti hanno comunque servito bene. –
- Peccato per Putress, mi mancheranno le sue intuizioni nel laboratorio, ma ha svolto egregiamente il suo incarico, fino alla fine. - e sorrise, poi nuovamente seria, guardando dritto negli occhi il suo interlocutore, Sylvanas si alzò in piedi e si avvicinò ad una cassapanca che occupava una intera parete dei suoi alloggi.
- Mio caro ambasciatore Tristesole, sai cosa ho compreso in questa vicenda?: che il futuro non potrà mai arrivare attraverso la Piaga o un veleno, come pensava Putress, no., è aprì la cassapanca, estranedo uno scrigno largo e stretto., il futuro potrà arrivare solo con qualcosa che scuota le fondamenta stesse della terra.  Occorre qualcosa di più: affinchè il futuro che anelo si manifesti, occorrerà un cataclisma. – e aperto lo scrigno, mostrò ad un esterrefatto ed estasiato ambasciatore Tristesole il tomo di Medievh, il teschio di Gul’dan e l’occhio di Dalaran.







F I N E
« Ultima modifica: Dicembre 28, 2015, 05:29:42 pm da sceiren »

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren