Autore Topic: Figli dell'Ultima Alba XXXII - Capitolo 23: Sconfitti  (Letto 1234 volte)

Sceiren

  • GM Rising Dradis Echoes
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Figli dell'Ultima Alba XXXII - Capitolo 23: Sconfitti
« il: Maggio 05, 2015, 03:23:42 pm »
23
Sconfitti

La figura distorta del Re dei Lich che puntava la sua spada sul corpo esanime dell’orco venne catturata dallo sguardo vigile della madre di tutti i draghi che, attraverso la sua sfera della visione, seguiva gli eventi che i mortali stavano portando avanti all’Iracancello.  Alexstrasza, in forma umana, con le braccia conserte ed un’espressione imperturbabile, osservava gli eventi da una certa distanza, in tutti i sensi: sia dalla sfera in quanto tale che in termini sostanziali, del resto, quello che le premeva davvero, non era il sacrificio dei mortali che sarebbero periti nel tentativo di realizzare il Progetto, del resto i mortali cadono per definizione, quanto il ristabilimento dell’equilibrio.  Era inaccettabile infatti l’arroganza con cui il Re dei Lich aveva sfidato l’ordine delle cose e della vita stessa, sfidando i regni del sud.  Non era un caso per cui fosse rinchiuso nelle Northerend del resto.
Gli occhi bianchi lucenti, privi di pupilla, del drago tornarono a posarsi sulla sfera, concentrandosi sull’esile esperto di magia alle spalle di Bolvar Fondragorn. Le labbra si tesero in un abbozzo di sorriso: il Progetto era pronto per scattare, poi strinse gli occhi e si avvicinò, coprendo la visuale al suo conserte che senza obiettare, fece un passo indietro.
- Cosa? – ruggì profondamente Arthas, mentre una risata sadica e stridula echeggiò nella vallata.
Una figura esile e spigolosa, resa un’ombra dalla luce alle sue spalle, si affacciò sul crinale tra l’Iracancello e l’avamposto di Kor'kron.
- Pensavate che avremmo dimenticato?, iniziò, pensavate che avremmo perdonato? – ghignò alzando il tono della voce la figura incappucciata, mentre decine di catapulte non-morte ai affacciarono alla sua destra ed alla sua sinistra.
- Putress all’Iracancello?! – sibilò, afferrando la sfera con le mani delicate e curate.
- Ora assisterete alla terribile vendetta degli Abbandonati! –
- Sylvanas… -
La presa intorno alla sfera divenne salda e le unghie rosso fuoco della Custode della Vita si puntarono nel cristallo, come a volerlo perforare, quando il drago vide le catapulte che scattarono, riversando i loro carichi letali nella piana di fronte l’Iracancello.
- Non era previsto! – ruggì.
- Alvaraeux! La formula! – urlò Bolvar.
- Morte al Flagello! E morte ai viventi! – continuò imperterrito il non-morto, mentre esplosioni verdastre, seguite dalla diffusione di una velenosa tossina si susseguivano una dopo l’altra nella piana.
- NON ERA PREVISTO! – ripetè alzando il tono di voce e distaccandosi dalla sera con stizza.  Fissò Krasus fermo di fronte a lei e senza dir nulla chiuse gli occhi e si concentrò su Korialstrazd.
- Dirigetevi immediatamente al tempio. – ordinò.
Quindi raggiunto il margone della terrazza del piano più alto del Tempio dei Draghi, saltò nel vuoto e, tornata alle sue sembianze naturali, distese le ali vermiglie, spiccò il volo ruggendo, perdendosi oltre la coltre delle nubi.

* * *

Non fu il solo ad alzare gli occhi al cielo quando quel grido profondo ed al contempo acuto echeggiò nella vallata, ma fu l’unico a rimanere pietrificato da ciò che vide: stava precipitando, cadeva nel vuoto, poco distante dal drago che cavalcava.
Sceiren si sentì mancare: sapeva che non avrebbe resistito all’impatto col suolo, sempre che fosse ancora viva, naturalmente. 
Si sentì la nausea salire e con essa un panico che credeva di non provare mai più, da quando aveva visto la pozza di sangue allargarsi sotto il corpo ormai morente di Antera, da quando aveva potuto osservare la vita sfumare, disperdersi per sempre, nella tana di Ebonroc.  Credeva di essersi lasciato il passato alle spalle e che il Creatore lo avesse in qualche modo graziato, premiato, se non lui, almeno suo figlio Illentar, restituendo a quest’ultima la madre ed a lui la moglie, seppure in forma diversa ed ora, tutto si era riavvolto e ancora una volta si sentiva incatenato ai suoi limiti, semplice spettatore di eventi che non poteva controllare.
Scacciò la macabra immagine delle membra dilaniate dallo scontro con il terreno dell’elfa e si obbligò a pensare da mago, a calcolare invece che farsi sopraffare dagli eventi, a ragionare come un gelido esperto di magia.
Inspirò profondamente, mentre sentiva un calore crescente che gli ardeva nelle viscere, quindi fissò quel corpo che cadeva nel vuoto.  Fece silenzio nella testa, incurante della battaglia che infuriava, incurante dei pericoli che correva abbassando la guardia e calcolò il peso del corpo dell’elfa, della sua armatura leggera, dei suoi stivali, del suo zaino.  Calcolò la velocità in cui cadeva, la resistenza dell’aria, il vento.  Abbassò quindi gli occhi al punto dove avrebbe da lì a poco impattato col suolo, lo fissò bene nella mente e lanciò un’ultima occhiata al suo bersaglio.  Afferrò una piuma dalla sacca che teneva sempre assicurata alla cintura e pronunciò un incantesimo, quindi trattenne il respiro e ne formulò un altro.  Lòre vide il mago scomparire in una nube azzurrina.
Sceiren ricomparve nel vuoto, a oltre trenta metri dal suolo.
Superato lo stordimento dovuto al teletrasporto che, in un lampo, lo aveva spostato verso l’alto, si ritrovò a fluttuare verso il suolo.  Col fiato corto ed il vento gelido che gli soffiava addosso, alzò gli occhi verso l’alto: Silvèr stava per raggiungerlo!, ma il vento lo stava lentamente spostando sulla destra.
- No! – urlò il mago.  Si distese, cercando di guadagnare la distanza necessaria per intercettarla e quando il corpo a peso morto gli sfrecciò di fianco, riuscì ad afferrarla per la faretra.  Il dolore fu terribile: Sceiren urlò e anche se sentiva i tendini tesi oltre ogni limite, non avrebbe mollato la presa, a costo di perdere l’uso delle braccia. La velocità e il peso dell’elfa, una volta che quest’ultima fu afferrata dal mago, trasformarono i due in una sorta di fionda fluttuante: sfruttando il braccio del mago come una corda, il corpo della sua amata priva di sensi descrisse un arco catapultando entrambi verso l’alto.  Sceiren afferrò Silvèr anche con l’altra mano e quando la gravità tornò a farsi sentire, la strinse a se, abbracciandola con tutte le sue forze per paura di perderla. Del resto sentiva che il braccio destro era ormai insensibile. 
Infine entrambi, abbracciati, presero a cadere, meno rapidamente di quanto avrebbero fatto senza il supporto della magia, ma molto più in fretta di quanto avrebbero dovuto.  Non aveva calcolato, nell’equazione della caduta morbida, il peso di Silvèr.
Il mago sentiva il vento scuotergli i capelli e la neve appiccarsi alla schiena.  Sceiren piegò il capo e focalizzò tra le lacrime il probabile luogo in cui avrebbero raggiunto il suolo: il tetto impagliato di una delle abitazioni dei coloni dei Campi Morti.   Avrebbe potuto attutire in parte lo schianto, se non fosse stato che il tetto era in fiamme, probabilmente colpito un colpo di artiglieria pesante nanica.   Sapeva che ogni istante che passava la distanza si accorciava e che presto qualunque sua scelta non avrebbe sortito alcun effetto su di loro; poi, senza alcun preavviso, una formula gli tornò in mente, una formula magica che aveva scelto di non utilizzare da anni.  Sentì nuovamente un calore fuori dal comune scaldargli il petto.  Chiuse gli occhi e formulò l’incantesimo un attimo prima di piombare sul tetto di paglia che esplose in una pioggia di lapilli incandescenti.
Il mezz’elfo aveva trafitto coi suoi pugnali il Vyrkul che stava affrontando senza degnarlo di attenzione: i suoi occhi erano inchiodati sui due amici che si schiantavano contro il casolare poco distante.  Senza guardasi incontro e letteralmente saltando due scheletri che emergevano dal terreno, si fiondò verso il casolare, ma si arrestò poco prima quando altri due guerrieri del nord armati di ascia bipenne gli si pararono di fronte.
- Non è proprio il momento! – sussurrò prima di saltar loro addosso come un ghepardo sulla preda.  Piantò i due pugnali tra collo e spalle del primo, lo scavalcò strappando le lame avvelenate e lasciandosi cadere lo colpì nuovamente alla schiena, abbattendolo. Quindi svitò il fendente del secondo guerriero.  Si rimise in piedi e evitò un nuovo assalto.
- Levati di mezzo! – gridò in elfico, quindi lo centrò con un calcio scagliandolo contro la porta in legno della struttura alle sue spalle.  Il Vyrkul si rimise in piedi, si tolse le i resti delle tavole di legno bruciacchiate di dosso e si riavvicinò al mezz’elfo, il quale però fissava la figura in ombra alle spalle del nemico.
Zoppicando, con un’espressione indecifrabile, sporco di cenere e sanguinante, Sceiren passo dopo passo superò con fatica i resti della porta. In braccio Silvèr, abbandonata, priva di sensi.  Entrambi erano avvolti in un’aura rilucente, come di brace. 
Il mago guardò con uno sguardo stanco, quasi rassegnato, il compagno di mille avventure quindi, concentratosi sul Vyrkul che a sua volta lo aveva notato e si preparava a colpirlo, sollevando in aria la sua ascia, liberò un’ondata di fiamma che, da metà busto, irradiò in un anello di fuoco sempre più ampio.  Il nordico venne travolto ed urlando iniziò a dimenarsi, per consumarsi tra le fiamme; Lòre si gettò a terra, evitando di essere raggiunto e la casa alle spalle del mago, subito l’ultimo colpo, cadde in una nuvola di detriti.

* * *

I draghi richiamati da Alexstrasza superarono il loro tempio e raggiunsero la loro madre che, evidentemente, li stava aspettando.  Le creature si disposero a destra e sinistra della regina e raggiunsero il bersaglio.   La piana di Angothar era avvolta dai vapori mefitici e mortali della piaga liberata dagli Abbandonati al seguito di Putress. 
Alexstrasza inspirò, seguita dagli altri draghi rossi al suo seguito, quindi liberò il suo soffio, incendiando e purificando l’area.
Superata la piana, virò e tornò sul bersaglio e soffiò di nuovo.
Le fiamme vermiglie come le scaglie del suo manto avvolsero tutto, ponendo fine al tormento di chi ancora si contorceva in preda agli spasmi e di coloro che già mutavano in non-morti.
Infine, come erano arrivati, in silenzio, sparirono oltre le nubi biancastre cariche di neve.

* * *

Il nano ardeva di rabbia… letteralmente.  La neve si scioglieva ad ogni suo passo ed il calore che emanava era devastante. A questo si aggiungevano le sfere infuocate che scagliava contro i suoi avversari, centrandoli e scagliandoli lontani da lui, per poi raggiungerli nuovamente.   Le piaghe procurate dalla maledizione di Erebus, nonostante le ferite che aprivano, erano state letteralmente ignorate e così, sofferente, ma non per questo meno pericoloso, Thane Korth’azz aveva messo fuori gioco prima il guerriero con lo spadone a due mani che aveva osato sfidarlo, poi il draeneo che lo aveva distratto e la draenea che tentava di tenere in piedi quel manipolo di mortali.  Ora si stava concentrando sul paladino che era intervenuto, mentre teneva sotto controllo l’evocatore e lo gnomo al suo seguito, nonché la paladina che li accompagnava e che, più dei primi due, lo preoccupava.  Per quanto riguardava il guerriero… non era minimamente impensierito. Inutili mosche.
Il nano scagliò una sfera di fuoco alle sue spalle e fece evaporare la neve accumulata poco distante per celare i suoi spostamenti, quindi scattò di fianco, protetto dal vapore e sicuro che i due evocatori non lo avrebbero potuto raggiungere con i loro incantesimi.  Avrebbe raggiunto il paladino, nuovamente in ginocchio e lo avrebbe finito una volta per tutte.  Quindi avrebbe fatto la finita con gli altri membri del gruppo. Solo dopo, solo quando sfiancati avrebbero assaggiato il sapore del suolo congelato delle Northerend, solo allora, si sarebbe divertito a ucciderli uno dopo l’altro. Era la parte che più lo divertiva: godersi gli sconfitti urlare di dolore tra le fiamme.  Le fiamme davano forza, negli ultimi attimi prima del sopraggiungere della morte, anche a coloro che le forze le avevano esaurite da tempo. Era un… miracolo.  Così le avrebbe definite il Thane di un tempo, ma oggi, per lui oggi era solo un tormento che adorava infliggere e gustarsi.
Questo pensava il cavaliere, quando si accorse della presenza che stava arrivando. 
In un’altra circostanza probabilmente avrebbe trovato quella interferenza fastidiosa, quasi offensiva, ma era a piedi, ed odiava camminare, così non vedeva per nulla di cattivo auspicio un intervento che accelerasse la conclusione del compito assegnatogli.  Avrebbe poi con calma rigenerato la sua cavalcatura.
Così, ancora più motivato, continuò la sua corsa e caricò il paladino stordito con la sua ascia.

* * *

La nube di vapore acque sollevato dall’ultima esplosione non le permetteva di vedere dove il cavaliere si stava dirigendo.  Whitescar lanciò un’occhiata preoccupata a Erebus il quale senza neppure rispondere cominciò a correre sulla sinistra, cercando di aggirare la nube.  Al suo fianco, come sempre Azazhiel.
- Non serve a niente, maestro, affrontiamolo direttamente! – gridò lo gnomo.
- Non dire idiozie: serviamo vivi ai nostri compagni.  Da morti serviremmo il nemico. -
- Dobbiamo ricompattarci, siamo troppo disseminati sul terreno di scontro! – continuò lo gnomo.
- Wintate è immobilizzato e Selune rischia di fare la stessa fine di Hytujaram. Dobbiamo dare il tempo ai guerrieri di riprendersi, dobbiamo attirarlo qui. – aggiunse la paladina.
- Forse non mi sono spiegato. – rispose asciutto Erebus.
Un lampo di luce bianca al centro della nube precedette la comparsa della gigantesca ombra al suo interno.  Era massiccia, una figura umanoide di grossa taglia, oltre due metri d’altezza e adeguatamente piazzato.  La figura rimase celata nell’ombra, poi Erebus si accorse che non era umana perché, dalla sua posizione, non distingueva la sagoma delle gambe.   
L’evocatore si guardò intorno e vide quello che cercava: il vecchio mago era a distanza di sicurezza.  Strabuzzando l’occhio più grande e puntando il bastone magico nella direzione della nuvola, Zaltar era visibilmente sotto sforzo. Le vene del viso, lungo le mani e le braccia rinseccolite, erano in evidenza, poi si ingrossarono e da rosate divennero blu come l’acqua.  I capillari si gonfiarono a loro volta, come percorsi da un’ondata di sangue aggiuntiva, per poi diventare anch’essi color dell’acqua.  Infine, la pelle da rosea sfumò verso il color della neve e gli occhi del mago divennero di ghiaccio.  La figura al centro della nuvola gorgogliò, prima di scattare verso il nano a rapidità sorprendente visto la sua stazza, scorrendo più che camminando, sul suolo.  Lasciata la nuvola, si rivelò per essere quello che Erebus aveva pensato che fosse: un elementale, non un uomo, un elementale d’acqua, che vorticando e scorrendo su se stesso come una cascata senza fine, assumeva le forme in continuo mutamento di umanoide dal volto serpentiforme.  L’elementale sbuffò e si avventò sul nano, di fatto inglobandolo al suo interno in una nube crepitante di vapore.
Il nano si dimenava nella pancia della creatura d’acqua che, però, era due volte più alto di lui.  Zaltar, soddisfatto, iniziò a muovere la mani rapidamente, più rapidamente di quanto nessun uomo avrebbe potuto, in condizioni normali, ma lui era spinto dalla magia del gelo che ora gli scorreva letteralmente nelle vene, non era un semplice uomo, non era un semplice mago.  Così scagliò una lingua di ghiaccio affilata come una lama contro il suo stesso elementale, una seconda ed una terza, un’altra ancora, sempre più rapidamente, sempre più serratamente, una dietro l’altra, senza sosta, senza provare fatica, mentre si avvicinava al suo bersaglio.   Quando fu abbastanza vicino da poter vedere l’ira del nano che stava fronteggiando distorta dall’acqua che lo circondava, trattenne il respiro, prima di iniziare a scagliare contro il suo elementale sfere gelide in rapida successione. 
Incantesimo dopo incantesimo la temperatura dell’acqua che componeva l’elementale da lui evocato si abbassava, infine il mago avvicinò i palmi delle mani a mo’ di ventaglio e le indirizzò verso la creatura e liberò un cono di freddo potente, gelido e soprattutto lungo, lunghissimo.  Per diversi secondi il cono di aria glaciale avvolse la creatura d’acqua, che prima gorgogliò, poi si cristallizzò ed infine divenne una statua di ghiaccio.   Il mago abbassò le braccia. Aveva il fiato corto, ma non aveva ancora finito il lavoro: del resto, sapeva che non sarebbe bastato quell’espediente per contenere il non-morto.  Così portò in alto le mani, formulò l’ennesimo incantesimo per poi puntare il bastone verso la statua di ghiaccio.  Davanti all’esperto di magia comparve una sfera bianca traslucida, fluttuante a mezz’aria.  La sfera roteò su se stessa, si ingrossò, quindi lentamente si avvicinò al bersaglio, esplodendo in una pioggia di schegge di ghiaccio al contatto.  L’elementale andò in mille pezzi e il nano al suo interno venne scagliato lontano, prima di cadere al suolo, rimandendo immobile.
Gli occhi di Zaltar furono i primi a tornare normali, infine, sfinito, cadde in ginocchio, ma venne subito soccorso da Erebus e Gengiskhan, mentre Whitescar prese a pregare per la sua salute, dandogli sollievo.

* * *

Wintate e Selune si sentirono subito meglio: improvvisamente il senso di malessere era sfumato e anche se la nausea era ancora piuttosto forte, i suoi effetti debilitanti erano sicuramente meno devastanti di poco prima.  Si rimisero in piedi all’unisono, increduli di quanto fosse bella l’assenza quasi totale di sofferenza.  Il guerriero fissò il paladino, quindi avvertì la minaccia: senza neppure comprenderne l’entità, si voltò su se stesso e prese a correre verso il gruppo alle sue spalle.

* * *

Galoppava rapido come una furia, ma silenzioso, protetto dalla coltre di neve che copriva il terreno, il cavaliere dalle bardature blu e viola.  Il Barone Rivendare sapeva esattamente dove colpire: aveva scelto il proprio bersaglio, avrebbe indebolito il nemico per permettere a lui ed ai suoi compagni di stragiarlo senza possibilità di salvezza.  Così sempre più vicino pregustò il piacere della vittoria e, ancora prima, dello scontro con la preda.  Amava la caccia, amava il momento prima dello schianto.  Abbassò l’arma, mentre il suo destriero galoppava in frenesia poi sorrise quando, sollevata improvvisamente la sua spada al cielo si preparò ad affondarla nelle carni della sua vittima designata, oramai a pochi metri da lui.

* * *

Azazhiel vide comparire come dal nulla quella sagoma scura, una enorme sagoma scura che li avrebbe travolti in pochi attimi e fu allora realizzò che non era lui che voleva, ma che avrebbe colpito per prima la paladina che stava soccorrendo il vecchio mago.  Il suo maestro, come la sua guardia del corpo erano intenti a soccorrere il vecchio, Tillisha si doveva essere allontanata durante l’avanzata del nano ed ora, lui, era solo e il solo che avesse coscienza della minaccia.   Si mise le mani sul petto ed un’armatura scura, come squame di una creatura dei mari, lo ricoprì quasi interamente, quindi urlando si mise tra la paladina e il cavaliere e spiccato un salto con i suoi stivali gnomici, si scagliò contro l’assaltatore.

* * *

Il Barone vide il piccolo gnomo all’ultimo secondo.  Non avrebbe fatto alcuna differenza e, del resto, aveva falciato lungo la sua carica, creature ben più ingombranti; così, anticipando la mossa agognata, calò la sua spada sullo gnomo, affondando la lama del suo petto, senza neppure rallentare.

* * *

Le grida di Azazhiel prima, l’urlo di dolore, poi, fecero sobbalzare Whitescar.  La paladina saltò in piedi giusto il tempo per assistere al macabro spettacolo.  Si portò poi le mani sul viso quando cavaliere, cavalcatura e gnomo la travolsero.

* * *

Zaltar riapparve pochi metri sulla destra, ancora privo di forze ed ansimante.  Le grida dello gnomo le aveva sentite bene e significavano solo una cosa: pericolo.  Non aveva tempo per valutarne l’entità e, comunque, nelle attuali condizioni, anche un criceto arrabbiato avrebbe avuto la meglio su di lui.  Così aveva pronunciato la sillaba di attivazione ed in un lampo si era teletrasportato distante dal pericolo, ma era solo e questo lo rendeva vulnerabile.  Fissò la nube di neve, fango e polvere sollevata dal cavaliere nero che li aveva raggiunti e si chiese se questa volta se la sarebbe cavata, quando avvertì una piacevole scarica di calore sulla schiena.
- Alzati! Mio marito ha bisogno di te! – ruggì la draenea scaricando una seconda ondata curativa verso il mago.

* * *

Ilaria, scortata da Nadìr e Dharius, avevano preso distanza dallo scontro: quando i due cavalieri si erano allontanati da loro, il primo allontanatasi verso il centro della battaglia, il secondo distratto dai loro guerrieri, si erano progressivamente trascinati via, la prima seguita dagli altri due e, metro dopo metro, la sensazione di disgusto e di malessere era sfumata.  Finalmente di nuovo in piedi e recuperata parte delle forze, evitato un gruppo di nemici minori, erano pronti a rigettarsi nella mischia, quando videro lo spettacolo di Zaltar e, soprattutto, il disastroso epilogo con il ritorno del cavaliere non-morto che aveva preso distanza poco prima.  Ilaria si portò le mani sulla bocca quando si rese conto di quanto stava per consumarsi e, dopo lo scontro, senza avere il coraggio di dire alcuna parola, aveva iniziato a correre verso il gruppo travolto.  Doveva aiutare i suoi amici.
Dietro di lei l’elfa, incoccate due frecce e il paladino, martello da guerra alla mano, si prepararono allo scontro.

* * *

Zigho aveva guardato incredulo il suo drago perdere quota, raggiungere il suolo e disarcionarlo senza troppi complimenti, prima di riprendere il volo e sparire ad occidente.  Rimasto privo di incarico, privo di cavalcatura e, soprattutto, da solo in zona di guerra, decise che sarebbe stato più saggio ripiegare verso il resto del gruppo.  Così, di corsa, tornò sui suoi passi, in direzione del grosso dell’esercito alleato, in cerca dei Templari Neri.   Raggiunto ciò che restava di una catapulta non-morta, decise di sfruttarla per avere una migliore visuale, così salì in cima ai resti fumanti della carriot e si guardò intorno cercando di scorgere i suoi compagni, ma una volta raggiunto il punto più alto, un boato lo travolse, facendolo inciampare e cadere tra le tavole sconnesse del mezzo d’assedio.  L’elfo si rimise subito in piedi, rotolò tra le ruote e si acquattò celandosi il più possibile, un secondo boato, che però non lo colse di sorpresa come il primo, lo raggiunse.  Zigho alzò gli occhi al cielo, in direzione di quegli schianti, in direzione di Naxxramas e quando una delle fiancate della cittadella esplose letteralmente, quando un getto di acqua e ghiaccio dall’interno della roccaforte di Kelthuzad bucò la parete disperdendosi verso il cielo, quando gli artigli giganteschi di un drago scheletrico squarciarono come latta la fortezza che lo custodivano e la creatura, sibilando, si arrampicò fino alla sommità distendendo le ali e spiccando il volo, si sentì gelare il sangue nelle vene: come avrebbero potuto fronteggiare un drago, ora che i draghi al loro seguito erano lontani?
Incoccata una freccia nel suo fedele Roch’Delar, col cuore che gli martellava nel petto, Zigho per l’ennesima volta tornò sui suoi passi: avrebbero avuto bisogno di tutto l’aiuto possibile per far fronte all’ennesima minaccia. Non poteva tornare indietro.

* * *

Geblin tirò la cloche verso di sé e prese quota, seguito prontamente da un paio di volacotteri al suo seguito.  Lo gnomo, messo a fuoco il drago, attese che il visore restituisse il nome della creatura, anche se non aveva bisogno di leggerlo nel cristallo, sapeva benissimo di chi si trattasse. 

Sapphiron!

- Qui si mette male, ma male male male… - biascicò, poi sgranò gli occhi e gridando spinse a manetta il suo mezzo, ruotando sul suo proprio asse ed evitando per un soffio i resti di una zeppelin fatta a pezzi dal drago e scagliati nella sua direzione.
- Distanza, distanza! – gridò nel tubo alla sua sinistra e la voce, amplificata, echeggiò sulla piana, ma erano lenti, lo sapeva, le zeppelin più dei volacotteri e, comunque, i volacotteri molto di più del drago. 
Il drago scheletrico sibilando superò la cittadella sospesa, piegò sulla destra ed afferrò con gli artigli il pallone aerostatico della zeppelin che aveva trasportato i Borked.  Frecce e incantesimi colpirono il dorso della creatura che per tutta risposta, piegato il muso verso la passerella, soffiò congelando all’istante tutti coloro che la occupavano.  Quindi, dilaniato il pallone, lasciò la presa riprendendo il volo, lasciando cadere la zeppelin al suolo.
Un gruppo di volacotteri fecero fuoco, non centrando il bersaglio: era troppo veloce.  Geblin sapeva che non avrebbero potuto abbattere quella creatura, ma che dovevano quantomeno costringerlo al suolo in qualche modo.  Pensava a questo quando il drago lo superò, coprendolo con la sua ombra e centrandolo involontariamente con la sua coda che, oscillando, impattò con l’ala destra del suo mezzo, staccandola dalla fusoliera.  Lo gnomo urlò, mentre cercava di mantenere il controllo di un volacottero in avvitamento, oramai completamento impazzito e discesa libera.

* * *

La pantera si avventò sul Vyrkul che seguiva il draeneo.  Gli piombò addosso stringendo le zanne sulla giugulare del nordico.  Lasciato agonizzante nella neve, si voltò, si leccò i baffi e riprese la sua corsa al seguito del compagno. 
- Dovrai lavarti più che bene, se vorrai un bacio su quelle labbra… - la schernì Rexyna.
La pantera ruggì annoiata, quindi saltellando riacquistò in uno sbuffo di energia verdognola le sembianze umanoidi.  La druida si pulì il viso con il braccio e fissò disgustata il sangue scuri su di esso.
- In effetti non vedo l’ora di un bagno… -
Un’ombra rapida li coprì entrambi.  Istintivamente sia Rexyna che Uranias si portarono le mani sulla testa e si raggomitolarono, quindi alzarono gli occhi al drago scheletrico che li aveva superati.
- Miei dei… - si lasciò sfuggire il draeneo.

* * *

La paladina tremava: il braccio sinistro era immobile, non rispondeva ai suoi comandi.  Sentiva un forte dolore al costato e la vista era annebbiata.  A peggiorare le cose, un senso di nausea sempre più forte le inchiodava a terra.  Ruotò il capo e si sforzò di mettere a fuoco quella massa informe che vedeva dimenarsi poco oltre la sua posizione: era la cavalcatura che l’aveva travolta, con le gambe spezzate, che nonostante tutto cercava di rimettersi in piedi, per poi cadere nuovamente su se stessa.  Scosse il capo e vide Erebus che gridava qualcosa, non riusciva a comprenderlo, i suoni le arrivavano distorti, in una cacofonia di eco indecifrabili.  Strinse gli occhi e sentì il sangue caldo che le colava sul viso.  Si asciugò col destro ed una fitta di dolore dal sinistro le strappò un lamento.
Whitescar spinse con le ginocchia per cercare di mettersi in piedi, ma il dolore al braccio rotto era insopportabile.  Sentì le lacrime bagnarle le guance, non ce la faceva.  Si abbandonò tra i singhiozzi al suolo freddo, quindi si accorse dello gnomo immobile poco più in là.  Era in una pozza di sangue.
- Noooo – gridò roca, quindi urlando di dolore, si mise prima seduta, quindi traballando riuscì a mettersi in piedi, tenendosi fermo il braccio compromesso. 
- Sei mia. –
Il barone di Rivendale si issò in piedi seccato per quel capitombolo, ma tutt’altro che demotivato: aveva la sua preda a portata di lama e non avrebbe atteso oltre abbatterla.  Così, afferrata la spada da terra, passo dopo passo, sicuro di sì, si avvicinò alla paladina ignara della minaccia che, zoppicante, si avvicinava al cadavere del compagno.
- Maledetto! Io ti maledico! – Erebus lanciò tutti gli incantesimi più oscuri che ricordava sul guerriero che ebbe un sussulto prima di voltarsi verso di lui minaccioso.
- Non osare… -
- Cosa non dovrebbe osare? Prenditela con qualcuno della tua stazza… spaventapasseri! – gridò Wintate passandosi la spada lunga da una mano all’altra e preparandosi allo scontro.
Il non morto si sistemò il mantello blu cobalto con noncuranza, quindi fissando la paladina più in là sorrise malvagio e passo dopo passo si indirizzò verso il guerriero.  La sua vittima era ad un passo dalla lapide, non poteva scappare e pertanto non c’era fretta. 
Il guerriero, carico di rabbia, caricò.

* * *

Il demone evitò di schiantarsi grazie alle proprie ali che, chiuse in un bozzolo, attutirono l’impatto con la parete di una casetta di contadini.  Il muro resistette, pur frantumandosi in più punti. 
- Non vivrai oltre per maledire il suolo col tuo passo sacrilego! Demonio! – e raggiunse colpendo con la spalla il petto di Albina avvolto in un’aura di luce dorata.  Il muro, che aveva resistito il primo colpo, non resse il secondo e quando il paladino non-morto raggiunse il demone ancora raggomitolato, franò verso l’interno.  I due ripresero a combattere colpo su colpo dentro la casa. 
- Sei tu l’abominio! – strillò Albina scagliando una vampata di energia d’ombra contro il cavaliere e facendogli volare l’elmo contro la porta di legno alle sue spalle.
- Combattere perché si deve e combattere perché si crede! – e afferrò con entrambe le mani il collo del demone, premendo sulla carotide.

* * *

Le scintille incandescenti inondarono i due combattenti e sciolsero la neve ai loro piedi, una volta a terra.  Thunderfury tagliava l’aria sibilando prima di impattare con l’arma della guerriera che, sfruttando la propria magia, amplificava gli scontri con energia oscura, aggiungendo spesso sfere d’ombra per indebolire Roredrix.  Fortunatamente per lui, Lùce si era ripresa e gli dava supporto pregando per lui e mitigando le ferite che si procurava durante lo scontro.   La rapidità di Lady Blameaux, però, era senza eguali ed il guerriero ormai piuttosto attempato, anche se forte della rabbia che gli scorreva nelle vene, mostrava sempre più il fianco, reagendo all’ultimo istante per evitare di essere centrato.  Era solo questione di tempo: lo sapeva Roredrix e lo sapeva la non-morta.  A chi invece non fregava nulla di tutto questo e che non aveva idea di cosa fosse la prudenza o la cautela era il nano che brandiva la “Mano di Ragnaros”.  Bryger, finalmente in piedi, curato da Lùce, era letteralmente furente.  “Prudenza e cautela” avrebbero previsto una serie di preghiere rituali per preparalo alla battaglia, ma il nano che era in lui desiderava solo fracassare il cranio di colei che lo aveva ridotto ad uno straccio poco prima e così, una volta in senso, benedetta la sua arma, aveva atteso che Roredrix si rimettesse in piedi dopo l’intervento risolutore di Clarisian che aveva creato uno scudo protettivo esattamente al momento giusto.  Bryger aveva dovuto ammettere che la sacerdotessa, nonostante le divergenze che poteva avere con loro, aveva dei numeri e sapeva il fatto suo.
Ora era pronto.  Posò la mazza a terra, si sputò sulle mani, quindi riafferrò la sua arma e superato Kimmolauz, si lanciò contro la non-morta roteando sopra la testa la sua arma leggendaria.
- Ora tocca a me divertirmi, ora tocca a me! –
Lady Blameaux scansò la Mano di Ragnaros, deviò un colpo di Thunderfury e dette un calcio a Roredrix, facendolo cadere faccia a terra.  Una freccia scagliata da Kimmolauz le si piantò nel braccio, facendole perdere l’attimo per colpire il guerriero e permettendo a Bryger di centrarla in pieno petto scagliandola diversi metri da lui.
- Ecco! – esultò soddisfatto il nano correndo verso la non-morta che, nonostante il duro colpo, non voleva darsi per vinta.  Nuovamente in piedi, saltò letteralmente la carica del nano, cadde, fece una capriola ed affondò contro Roredrix nuovamente in piedi.  Il guerriero deviò grugnendo l’affondo, quindi fece perso sul destro e girò su sé stesso, colpendo con un fendente il ventre della non-morta, poco sopra la ferita aperta dal colpo di Bryger.   Lady Blumeux, evidentemente sofferente, balzò all’indietro, tenendosi il ventre sanguinante, quindi sgranò gli occhi e lasciò cadere la spada al suolo.

* * *

Il boato fu terribile: un tuono che echeggiò per la valle, perdendosi nel deserto ghiacciato di Dracombra e più a Est, verso le colline dei Grizzly.  Sevex alzò gli occhi e, come lei, anche molti dei combattenti della piana.  Una colonna di fumo nero, dai riflessi verdognoli, si alzava da uno dei giganteschi teschi sulle fiancate della struttura.   Un’esplosione dilaniò la parete sud-est di Naxxramas, facendo cadere grossi blocchi di pietra nel campo sottostante. Infine la cittadella si inclinò di una decina di gradi e iniziò a perdere quota.  Alcuni non-morti al suolo smisero di combattere, scheletri guerrieri caddero al suolo in un mucchio di ossa.   Sapphiron, che negli ultimi assalti, aveva devastato la prima linea alleata, congelando dozzine di combattenti col suo soffio, rallentò la sua furia, distese le ali e fissò la cittadella sotto la quale stava volando.  Un grosso blocco di pietra si staccò dalla base della cittadella, oramai in caduta verso il suolo, e centrò il drago trascinandolo verso il basso, mentre dalle feritoie rimaste ancora praticabili, senza alcuna strategia, saltavano nel vuoto i superstiti delle sue confraternite Borked e Paragon, mentre una pioggia di pietra e detriti anticipava l’impatto col suolo della dimora di Kelthuzad.

* * *

Allentò lentamente la presa, anche se già da qualche secondo il demone non si muoveva più.  Sir Zielek adagiò il corpo della creatura al suolo con una delicatezza inspiegabile, visto la violenza con cui l’aveva affrontata poco prima, quindi si guardò le mani tremanti come se non sapesse a chi appartenessero.  Fece un passo indietro e raccolse il suo elmo, mentre in vapori violacei, il demone riacquistava forma umana e rivelava il corpo martoriato dal lungo scontro dell’evocatrice.  Il non-morto le si avvicinò in fretta chinandosi su di lei e, lasciato cadere l’elmo sulla destra, avvicinò l’orecchio alle narici.  Non respirava. 
Adagiò Albina sulla schiena, quindi sollevato il pugno, la colpì allo sterno con decisione, una volta, due tre, si chinò di nuovo: niente respiro.  Il paladino giunse le mani ed iniziò a pregare: le mani vennero avvolte da un’aura dorata, sollevò nuovamente il pugno e lo calò sullo sterno della donna.  All’impatto, l’energia benefica concentrata nelle mani passò nel petto della donna che, strabuzzati gli occhi fuori dalle orbite, aspirò nuovamente l’aria in un lungo, sibilante respiro.   
Sir Zielek si alzò fissando la donna ansimante, ma nuovamente in vita ai suoi piedi, raccolse l’elmo e si allontanò.  Il paladino non-morto si fermò sull’uscio e voltandosi verso la sua avversaria aggiunse grave:
- E’ vero: di abomini in questa stanza ce ne sono due. – sistemate le spalline e il mantello candido come la neve, ma imbrattato di sangue e terra, si voltò e uscì.

* * *

Wintate fece una capriola in direzione di uno delle decine di soldati rimasti a terra durante l’avanzata, ritrovò l’equilibrio, afferrò con la sinistra lo scudo di quest’ultimo, e parò il colpo del cavaliere che fronteggiava. Era veloce, molto veloce, e aveva bisogno di combattere spada e scudo per trattenere la sua furia ed al contempo infliggere danni significativi.  Così, nuovamente in piedi, ricominciò a duellare. Alle spalle del barone Rivendale, Gengiskhan era pronto a prendere parte ai giochi, mentre più avanti Selune minaccioso avanzava a sua volta. 
- Leale, mi piace. – ridacchio il non-morto prima di spiccare un balzo e piombare alle spalle del draeneo. 
- Vieni da me, codardo! – ruggì Wintate.  Avvertiva nuovamente la nausea crescergli nello stomaco. Aveva poco tempo. Lo sapeva lui e, evidentemente, lo sapeva bene il suo avversario che prendeva tempo, più che combattere per vincere. 
Il non-morto deviò i colpi di ascia del dreaneo, quindi balzò nuovamente indietro ed abbassò l’arma, come se ascoltasse un messaggio nella testa.  Wintate non aspettava di meglio, tramutò la sua corsa in carica e la sua rabbia in furia, quindi si avventò sul barone Rivendale con tutta la sua forza.  Il non-morto, per la prima volta sorpreso, tentò una goffa reazione per sbilanciare il guerriero, ma fallì e la lama del guerriero lo ferì al fianco, prima di colpirlo al volto con lo scudo e scaraventarlo a terra.
- Ora la pagherai… - sentenziò Wintate con gli occhi iniettati di sangue, ma una vampata di calore gli esplose alle spalle, facendolo piombare a terra.
Selune, accortosi del ritorno del nano, si era frapposto, evitando al secondo cavaliere di centrare il resto del gruppo, ma non aveva potuto evitare che la prima sfera di fuoco lasciasse le sue mani fiammeggianti.
- Me la pagherete! – urlava in preda ad una rabbia cieca il non-morto ferito.
Selune arretrò: puntò la sua spada di fronte a se e si preparò al combattimento, visibilmente preoccupato.
- Fai bene a tremare, mortale! Darò fuoco alle tue ossa! Darò fuoco a… - La punta di una spada uscì dal petto del Thane.  Il nano lasciò le mani lungo il corpo e con gli occhi fuori dalle orbite, fissò la lama sempre più lunga che gli apriva il petto.  Di colpo l’arma venne estratta e il nano si voltò per inerzia, più che per volontà propria.
- TU!? – biascicò a denti stretti, mentre fiotti di sangue nero gli sgorgava per le ferite subite.
- Abominio. – sentenziò il paladino davanti a lui, quindi lo benedì.  Il corpo del nano prese fuoco tra urla strazianti di rabbia più che di dolore ed infine si accasciò ai piedi di sir Zielek.
Il Barone Rivendale aveva avvertito, come il suo vecchio compagno di guerra, che il legame con il loro padrone, Kelehtuzad, si era interrotto, ma vedendolo trucidare il nano, aveva compreso che di quel legame di schiavitù non restava che cenere.  Afferrate le briglie di un cavallo privo di cavaliere e montato in groppa scappò verso Nord, in direzione di Guardiainverno.
Wintate come gli altri Templari Neri, si prepararono allo scontro, anche se le intenzioni del quarto cavaliere erano tutt’altro che chiare.
- Ho peccato. Contro il Creatore e contro i mortali.  La mia volontà non è stata forte abbastanza per spezzare il giogo e così, ora, chiedo giustizia. – disse. Ogni parola era una chiara sentenza per il suo operato, per il suo passato.
- Ero Sir Zielek, sacro paladino della Chiesa, ed ora, schiavo non-morto al soldo del male che avevo giurato di distruggere.  Io sono il male che avevo giurato di distruggere… - continuò, quindi, fissando negli occhi Selune, si mise in ginocchio, appoggiò con cura il suo elmo davanti a sé e chinò il capo.
- Dammi la punizione, fratello mio, la punizione per il mio peccato. –
Selune si guardò intorno: quasi tutti i suoi amici erano intorno a lui.  Da Ilaria a Erebus, ma Whitescar a Dharius, a Wintate a Hytujaram… poi vide il corpo esanime di Azazhiel in braccio ad Erebus e si sentì avvampare.
Fissò il paladino immobile di fronte a sé e, senza rendersene conto, si domandò se fosse la cosa giusta da fare.  Scacciando il seme del dubbio, sollevò la sua spada ed afferratola a due mani, disse:
- Perdonato. – e la calò sul collo del non-morto.

* * *

Era libera, il problema era che non era sola.  Doveva prendere tempo e distanza dal nemico non più suo.  Lady Blameaux iniziò a correre verso Naxxramas, senza guardarsi indietro.
- Ma che fai! Torna qui! – gridò Bryger allargando le braccia incredulo.
Kimmolauz incoccò una freccia azzurrina e la scoccò, centrando ad una spalla la non-morta, già piuttosto lontana, ma nonostante il colpo, non arrestò la sua corsa.
- Ma che diavolo è successo!? – continuò il nano.
Roredrix fissò al cittadella sempre più inclinata.
- Credo che la missione abbia avuto successo… in un certo senso. –  disse appoggiandosi a Thunderfury a mo’ di bastone. Era esausto.
- Che sighifica? –
Poi un’onda di fumo e polvere li travolse, come travolse l’intero campo da battaglia, in seguito al devastante scontro del suolo contro la fortezza di Naxxramas, finalmente abbattuta.

"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren