Autore Topic: Stelle Cadenti XXX - 25: Astri in terra (prima parte)  (Letto 1311 volte)

Sceiren

  • GM Rising Dradis Echoes
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Stelle Cadenti XXX - 25: Astri in terra (prima parte)
« il: Febbraio 23, 2011, 03:05:05 pm »
25
Astri in terra


Sguardi.  Frammenti estremamente variegati di emozioni scaturite dalla partenza ormai imminente.  L’abbraccio di un amico, il bacio di un’amante, il sorriso di un compagno d’armi, gli scherzi volutamente eccessivi per sdrammatizzare, per allentare una tensione crescente.  Le parole pronunciate così rapidamente da essere a malapena comprese dall’altro interlocutore, perché non ne restasse neppure una sospesa, perchè tutto fosse espresso, tutto fosse trasmesso, recapitato.  E poi modi scorbutici e scontrosi, risse quasi sfiorate per una fila non rispettata o per un involontario spintone, del tutto innocuo.  Lùce era sempre stata affascinata dai comportamenti umani e simili, da come ogni essere vivente reagisse alle difficoltà, alle sorprese, agli eventi di qualsiasi natura, così, mentre Ilaria discuteva con Erebus e Selune dei dettagli della missione ormai prossima, appoggiata ad un carro, seguiva con gli occhi le cinque fila ben ordinate di uomini, per lo più sconosciuti, tutti dai medesimi colori blu e oro che imboccavano uno dopo l’altro i rispettivi portali, disposti sui vertici di un immaginario pentagono al centro dell’accampamento.  Tra loro anche due gruppi di suoi compagni: dietro a Whitescar, la responsabile del noviziato, cinque neo promossi templari: Eagle, Baghy, Valiano, Tenakah, Chesterum e Azhriel; dalla parte opposta, dietro ad Araton, Dharius, Blackill, Anishy, Ziozeb e Dyanor che chiudeva la fila.
- Che fai, preoccupata per i ragazzi? – Bryger si era avvicinato senza che la sacerdotessa lo notasse… cosa piuttosto insolita visto i modi tutt’altro che felpati del paladino.
- Non essere ridicolo.  Semplicemente non avevo mai visto cinque portali evocativi aperti contemporaneamente. –
- Certo, certo.  Posso? - e si sedette a terra poco distante dalla vecchia amica.
- Sei combattuta, non è così? –
Lùce si sentì attraversare da una scarica gelida lungo la schiena, prima di sentire il cuore rimbalzare impazzito nel petto.
- Ricordi quando lasciamo la Cappella, quando decidemmo di unirci a quella… folle crociata voluta da Sceiren?  Eri fragile come una lastra di vetro, ma dura come il diamante.  Ti guardavo e mi chiedevo se saresti stata in grado di affrontare il passato, di tuffarti nell’oblio e riemergerne questa volta sulle tue gambe… ed ora siamo qui, in un altro mondo, in attesa di partire fianco a fianco, io, un paladino della fede e tu, una sacerdotessa tornata finalmente alla luce.  Una vittoria per il Creatore, qualcuno direbbe… ma io so la verità: è una vittoria tua e tua soltanto.  Quando ti vedo preoccupata, combattuta nel decidere se seguire quei tredici compagni che a stento conosci per soccorrerli nel momento del bisogno o partecipare alla missione che Erebus ha scelto per te, mi rendi orgoglioso della mia scelta di allora, Lùce, orgoglioso. Ma c’è dell’altro, non è così? -
- Quanto mi conosci, Bryger? –
- Noi nani siamo innanzitutto modesti, lo sai, perciò dirò semplicemente che sei un libro aperto per me. –  Lùce sorrise, tirata.
- Le sento, Bry, le sento premere nel petto, le sento dentro e ho paura di non poterle contenere. –
Il nano annuì gravemente, quindi fece cenno alla sacerdotessa di avvicinarsi e le afferrò il viso per le guance.
- Piccola mia, ascolta con attenzione quello che ti dirò adesso perché non me lo sentirai mai più dire: come distingueresti il bene dal male o la luce dalle tenebre se esistesse solo luce o solo bene al mondo?  Pensi che avrebbe senso combattere per qualcosa che esisterebbe a prescindere dalla tue azioni? Siamo abituati a pensare che la guerra contro le forze oscure prima o poi si concluderà con la nostra vittoria e che il male sarà sconfitto; tuttavia, mi chiedo: quando questo accadrà come ci dicono di credere, cosa faremo noi tutti?  Come sapremo di operare del bene senza un confronto?  Lùce, noi tutti siamo ombre e luce, solo che alcuni di noi hanno anche il dono di saper utilizzare quelle ombre e quella luce per qualcosa di grande.  Non potrai mai assopire del tutto quello che sei, ma puoi dirigere le tue forze per un fine nobile.  Quindi contieni le ombre e segui la via che Ilaria ti sta insegnando, ma tu non sei Ilaria, come non sei la Lùce che è morta a Blackwing Lair anni fa… però sei la Lùce che è ritornata alla vita, la Lùce capace di guardare nelle profondità delle tenebre e di coglierne l’essenza, ma capace altresì di fissare la luce del Creatore e venirne riscaldata come la sua più fedele figlia.  Sei ambo le cose… un po’ come quella casacca: sole e luna.  In questo mondo pazzo dove i non-morti siedono fianco a fianco a noi nani, tu rappresenti meglio di chiunque altro gli ideali del Consiglio secondo me.  Non combattere ciò che sei, ma non dimenticare mai ciò che eri e ciò che vuoi essere. -

* * *

Il tappo lasciò la bottiglia e schizzò lontano.  Il nettare profumato, distillato come solo un nano sapeva fare, lasciò la bottiglia e scivolò nel bicchiere.  Lòre, solo, lontano da tutti, non aveva voglia di scherzare e non voleva che nessuno lo vedesse diverso da come sempre era.  Così si calò d’un fiato il liquore e sospirò.  Era preoccupato… sarebbe passata.  Sorrise a se stesso e lasciò scivolare il liquido ancora una volta nel bicchiere.

Scivolò lungo il suo polso e cadde verso il suolo impattando sul gesso.  Non appena il suo sangue si confuse con la polvere bianca, la terra cominciò a sfrigolare ed una fumata violacea prese a correre da dove il sangue era caduto lungo tutto la circonferenza e al pentacolo in essa iscritto.  Erebus, al sicuro nel proprio cerchio, cominciò la litania.

La litania crebbe di intensità e dalla terra emerse, direttamente dall’inferno, un portale dal quale ruggendo uscì evidentemente contro la propria volontà un gigantesco demone.  La creatura allargò le possenti braccia e, chinato il capo, ruggì al cielo carico di elettricità tutta la sua rabbia e la sua ira.  Poi si concentrò sulla mortale che lo aveva strappato al suo mondo. L’avrebbe uccisa.

Albina ed Erebus stavano evocando i propri schiavi, i servi che li avrebbero seguiti in battaglia, ma non necessariamente forze esterne alla propria mente sono le armi di cui si può disporre.  Lo sapevano tutti i maghi: la vera potenza risiedeva nel mana, l’energia magica spirituale che, amplificata dalla volontà di ciascuno, faceva la differenza.  Sceiren e Zaltar erano in silenzio, l’uno spalle al secondo, seduti con le gambe incrociate sulla terra battuta del campo, circondati dalla pioggia incessante di fulmini, concentrati.  Ripetere ogni incantesimo utile in battaglia era la base della formazione di ciascuno stregone e quello era il momento di ricordare ogni sfumatura.

Zigho fissava le sfumature violacee delle piume del suo compagno, perfettamente in linea coi colori di Netherstorm.  Aveva bisogno di qualcuno che potesse seguirlo in volo, così aveva lo scelto per farsi accompagnare.  Aveva comunicato al suo maestoso gufo gigante la sua volontà di portarlo con sé ed il gufo aveva acconsentito a seguirlo. Del resto erano una cosa sola ormai.  Zigho riteneva inoltre che un rapace  sarebbe stato estremamente utile qualora fosse stato necessario un intervento durante il viaggio di andata così come durante quello di ritorno.

Sì perché era nel viaggio che si riteneva tra i più fortunati e preparati.  Poter mutare forma e volare con le proprie ali senza dover appoggiarsi a nient’altro che se stessi dava a Shaday una sicurezza che nessun altro poteva avere.  Non avrebbe rischiato di precipitare nel vuoto, non doveva preoccuparti del proprio equipaggiamento.  La natura era stata davvero generosa con lui e non vi era giorno o notte che non la ringraziasse per quel dono.

Il dono ricevuto era sempre maggiore a qualsiasi offerta che poteva essere preparata per ricambiare.  Bryger ne era consapevole, ma ogni volta che partiva in battaglia ripeteva quel semplice rito: un calice d’oro, un regalo di suo padre; incenso consacrato; una semplice preghiera: rendi la mia volontà seconda solo alla tua mano, padre, guidami affinchè abbatta il male come mi hai insegnato.

Ricordava bene ogni lezione ricevuta, tuttavia non riusciva a rilassarsi.  Eseguiva le forme con la sua spada proprio come di fronte al suo mentore, ancora e ancora e ancora.  Utet ripeteva a tutti di essere il migliore, l’elite, ma sapeva che presto avrebbe dovuto dimostrare ciò che fino ad allora aveva solo ribadito con le parole.

Due o tre parole tra loro, poi il silenzio.  Lùce e Ilaria pregavano senza proferir verbo e, accanto a loro anche Selune e July erano immersi nella preghiera. Ciascuno da solo, tutti nella luce del Creatore, ma non sempre il conforto è semplice da trovare, anzi, spesso scavando alla ricerca del tepore rilasciato dalla preghiera, si fanno i conti con le insicurezze e le ombre celate nel proprio cuore e le ombre che ardevano nel cuore di Lùce le ricordavano costantemente gli insegnamenti che doveva dimenticare, insegnamenti blasfemi in cui un tempo credeva, insegnamenti che si sintetizzavano in una semplice frase: anche il Creatore ha dei limiti.

Sapeva bene di averne, di limiti, ma non avrebbe lasciato che le preoccupazioni per ciò che non ricordava e che sentiva quasi di cogliere in un angolo recondito della propria memoria la avrebbe distratta dalla missione. Non sapeva come mai avessero scelto lei, sapeva di Kimmolauz, un arciere degno di questo nome, scelto da Erebus per prendere il posti di Wildhoney obbligato a Shattrath, ma non sapeva come mai lei.  Non era importante: Silvèr avrebbe dimostrato tutto il suo valore. 

Non ha valore, non era possibile dargliene uno, alla potenza del creato.  La si sente rimbombare dentro la pietra e scorrere dentro al più esiguo rigagnolo d’acqua, come nelle più impressionanti cascate di Nagrand.  Gengiskhan fissava i fulmini abbattersi sulla roccia e ammirava quello spettacolo… innaturale. Del resto non era stata la Natura a rendere Netherstorm quello che aveva davanti ai propri occhi.  Il draeneo si voltò verso Tillisha, poco distante, assorta in pensieri che sapeva essere identici ai suoi.  Avrebbe dato la vita per Erebus… lei, in quanto sua compagna, lui, in quanto aveva giurato di farlo.

Aveva giurato di proteggerla, aveva giurato che niente e nessuno avrebbe le avrebbe fatto mai del male ed era morta.  Aveva fallito allora che era nel pieno delle proprie forze, cosa avrebbe impedito ad un guerriero ormai alle soglie del ritiro di fallire ancora? Roredrix fissava la borraccia piena dell’acqua del laghetto della foresta di Elwynn: non riusciva a decidersi a mandare giù il sorso che avrebbe dato inizio, per lui, come ogni volta, alla missione.  Era da sempre il muro che si opponeva con coraggio alle minacce più terrificanti, era da sempre la punta di diamante della spedizione, di tutte le spedizioni a cui aveva preso parte ed ora, soprattutto ora, sapeva che il dolore alle costole così come l’età avanzata non avrebbero potuto fermarlo.  Roredrix strinse la presa e i denti, ringhiò la sua determinazione e mentre l’ennesimo fulmine si schiantò poco distante illuminando un guerriero pronto anche alla morte, si portò la borraccia alla bocca e stringendo coi denti l’ugello, bevve d’un fiato il suo contenuto.

* * *

Erebus aprì il coperchio del piccolo cubo metallico che si portava sempre con sé e fissò le ruote dentate che incessanti lo aiutavano a ricordare il tempo che passava.  Il marcatempo regalatogli anni prima da Wildhoney non mancava mai un ciclo… quasi mai almeno, non in quell’occasione, sperava.  Era l’ora.  Trattenne il fiato per un secondo, quindi fissò il demone alato imprigionato nel cerchio evocativo poco distante e sorrise.   
- Preparati Ziggud, ci aspetta un piccolo volo. -  il demone allargò le ali e spalancò le fauci fissando coi suoi occhi infuocati il padrone. 
- Direi che dobbiamo muoverci, Erebus. – Nadìr fissava con disgusto la creatura degli inferi e, in cuor suo, Erebus sapeva che nonostante l’amicizia di vecchia data, l’elfa non condividesse neppure lui in quanto legato a quell’essere oscuro. 
- Sì, è tempo.  Raduna i nostri compagni, ci vediamo al recinto. –

* * *

Lunghe piume violacee spuntarono dalla pelle del druido.  I suoi calzari si fusero alle caviglie, prima di irrigidirsi e allungarsi assumendo una tonalità giallognola.  Shaday allargò le braccia pennute, sempre più simili ad ali di un gigantesco rapace.  Le labbra si allungarono, si ispessirono fino a diventare un becco rigido ed affilato.   Non appena la metamorfosi fu completa, il druido nella sua nuova forma emise uno strano latrato, quindi spiccò il volo seguendo Selune già alto nel cielo.

* * *


"Spesso gli incantesimi più semplici nascondono le sorprese più grandi" - Sceiren